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1977. Prove (riuscite) di esorcismo del dissenso politico

 

Giuseppe Cascione
Professore aggregato di Filosofia Politica
Università degli Studi di Bari Aldo Moro


Di tutte le pellicole che descrivono gli anni 70 quella che li riassume meglio delle altre nella loro componente disperatamente generazionale è "Le diable probabilement" di Robert Bresson. Apparentemente il film si presenta come un film-documento. La recitazione dilettantesca, gli attori di strada, la fotografia tipica da reportage la scelta di scenari 'casuali', il ritmo rapsodico, tutto insomma tende ad avvalorare la definizione di film-documento che fotografa una generazione nel suo vivere quotidiano. In realtà Le diable è molto più di questo, è un film filosofico. L'apparente sciatteria dell'interpretazione è una cifra stilistica tipica di Bresson. La scelta di attori presi dalla strada presenta il vantaggio di poter immettere nei vari ruoli attori che sono i personaggi che interpretano, che non conoscono alcuna necessità da actor's studio di entrare nella parte. La fotografia non è piatta, descrittiva, ma è meditativa, nella sua crudezza indica in modo chiaro e scevro da disturbi il focus del film. Il ritmo spezzato ed episodico racconta, molto meglio del plot narrativo strutturato di stampo hollywoodiano, la frammentarietà dell'esistenza di quegli anni e presenta l'indubbio vantaggio di permetterci di ragionare intorno ad un tema che si presenta ai nostri occhi obliquamente, solo per esclusione, indirettamente.
Già, il tema. Ma qual è veramente il tema del film?

 

La morte

Il tema della morte campeggia senza sosta nel film, tiene banco. La morte dei singoli individui, la morte delle masse, la morte del pianeta. In qualche modo la morte viene vista da Bresson da un lato come il limite negativo ma ineluttabile dell'esperienza umana (ricordiamo che Bresson è un regista cattolico, seppure di un cattolicesimo peculiare nel suo pessimismo); dall'altro come una liberazione da una vita che non risulta più sopportabile (si pensi alla sentenza finale in cui il protagonista, Charles, dice “Neppure di fronte alla morte la vita può avere dignità").
Accanto alla morte di tutti, alla heideggeriana "possibilitá più propria" dell'essere umano, c'è la morte di Charles, il suo desiderio di morte e la sua concreta ricerca della morte, che culmina con quello che sostanzialmente appare, e ne ha la valenza, un suicidio.
Già dal titolo il male si presenta ipostatizzato nella figura del diavolo. Dell'appartenenza cattolica di Bresson abbiamo già fatto cenno e tuttavia non è la banale evocazione del maligno che appare interessante in questo film. Infatti, il titolo è legato ad una battuta buttata lì casualmente in una conversazione altrettanto casuale in un autobus.

L'evocazione della figura diabolica ha il valore di una riduzione di complessità della realtà umana ad uso delle masse, nel senso che il male originario ed antropologico che accompagna l'uomo nel proprio cupio dissolvi da tempo immemorabile non sembra alla portata della possibilità umana di comprensione. Il diavolo è una figura che ci serve ad esorcizzare il nostro personale coinvolgimento con il male che il mondo rappresenta, con cui dobbiamo quotidianamente misurarci e che, alla fine, è dentro di noi.


Ad una facile lettura, Charles ci appare un giovane borghese annoiato dalla vita. Un giovane che può avere ed ha avuto tutto ciò che poteva desiderare, ma che proprio per questa facilità a vivere, tende a considerare il mondo poco interessante, scivola, per così dire, attraverso la vita senza aspirare ad alcun coinvolgimento autentico. Più che noia, dunque, parlerei di apatia, cioè di uno stato mentale di assoluta indifferenza. Non tanto, tuttavia, di un'indifferenza ottusa e pregiudiziale si tratta, bensì di una indifferenza che arriva dopo l'esperienza, alla luce della insignificanza di tutte le esperienze fatte. Dunque stiamo parlando della disillusione, che, nel caso di Charles, non apre il campo al cinismo, ma semplicemente spegne alla fonte il desiderio di vivere, producendo così quella spinta verso la propria auto dissoluzione che il protagonista insegue sin dalle prime battute del film.

Fin qui le letture artistiche, individualistiche o semiotiche. L'interesse, nel contesto del presente lavoro, per il film, non nasce, tuttavia, dalla preoccupazione per le implicazioni filosofiche, morali, antropologiche, religiose che si potrebbero indurre da una lettura profonda della pellicola. La scelta di questo film è data dalla sua capacità di fornire una descrizione piuttosto fedele del contesto ambientale in cui la storia di un'intera generazione, quella degli anni Settanta, si è trovata a vivere.
In questo senso, il film traccia un percorso in cui Charles è una sorta di Virgilio che ci conduce attraverso i numerosi gironi infernali che caratterizzano il travaglio esistenziale di quella generazione. Il carattere luciferino di questi gironi non è legato ad un'intrinseca negatività degli elementi in gioco. Il sesso, ad esempio, non è di per sé un'esperienza che possa produrre estinzione del desiderio.

La religione tende ad essere una forma di consolazione individuale e collettiva di rara potenza.

Allo stesso modo, in forma laica, anche la psicanalisi ha provato, sul piano individuale, a rispondere al disagio che la modernità tende a produrre

La politica sembrava essere una dimensione escatologica almeno per la generazione che ha immediatamente preceduto quella di Charles.

Le riflessioni sull'ambiente hanno prodotto un pensiero dell'impegno e della cura ecologica nelle generazioni successive.

Perché, dunque, tutti questi elementi si trasformano in altrettante stazioni della via crucis per Charles? Quale declinazione distruttiva di questi fattori produce una aspirazione al suicidio così potente?

In premessa bisogna ricordare che gli anni Settanta si aprono con una formidabile aspettativa di cambiamento. La generazione che in questo decennio ha fatto politica ha creduto fermamente nella concreta possibilità di 'fare la rivoluzione' cioè di operare una drastica discontinuità nello sviluppo della forma di vita occidentale. La tensione escatologica connessa a questa aspettativa ha giustificato qualsiasi sacrificio individuale e motivato alle azioni anche più estreme la generazione degli anni Settanta. Una analoga tensione la si può riscontrare nell'aspettativa messianica connessa all'incipiente arrivo di Cristo come descritto nelle lettere paoline. La rivoluzione assume le dimensioni e la valenza di un'Apocalisse laica nell'immaginario dei giovani degli anni Settanta, che tutto giustifica e che tutto risolve.

Ma questa Rivoluzione immaginata era una prospettiva realistica? Sarebbe facile, con il senno di poi, ridere non solo di chi rispondesse positivamente a quella domanda, ma persino di chi osasse porla. E, tuttavia, quella tensione rivoluzionaria fu alla base di una trasformazione effettiva della società occidentale, purtroppo però non nella direzione auspicata. La Rivoluzione comunista non ci fu, non è mai stata una prospettiva anche solo teorica, e quando la durezza della realtà fa calare il sipario su queste aspettative irrealizzabili subentra l'apatia autodistruttiva descritta nel film.

L'esito finale del percorso di Charles, come della sua generazione, è la disillusione non è l'indifferenza. È la consapevolezza che ciò in cui si è creduto non era altro che una grande illusione collettiva e questa sofferta consapevolezza produce, a sua volta, un senso di frustrazione impotente: nulla mai cambierà, il destino della forma di vita è già scritto.

L'impegno politico predicato dai tanti 'cattivi maestri' sessantottini, spesso professori universitari, viene tradito da atteggiamenti opportunisti degli stessi predicatori.
Le esperienze private basate sulla rottura degli schemi familiari finiscono per produrre più problemi di quelli che risolvono facendo riemergere le vecchie abitudini borghesi. L'impegno ecologista, che già da allora appariva strutturalmente connesso al modello di sviluppo della forma di produzione/sfruttamento capitalistica, appare talmente complesso da risultare una missione impossibile. I postulati vantaggi della medicina/psicanalisi tradiscono la vera motivazione dei nuovi stregoni, cioè l'avidità di denaro. Il tentativo di evadere dal mondo attraverso l'uso di sostanze stupefacenti fa ripiombare gli individui in uno stato di schiavitù ancora peggiore.

Cosa rimane? Nulla. In Charles non vi è altro che il desiderio di cancellare la propria esistenza priva di speranza, di desideri, di senso, ma anche priva di autentica sofferenza, di dolore reale. Egli si muove, come del resto tutti i personaggi di Le diable in una condizione simile all'esperienza della trance e la recitazione automatica degli attori del film potrebbe, a questo punto, non essere solo la cifra stilistica che Bresson ha usato anche in altre pellicole. Potrebbe essere invece la rappresentazione di questa trance, la conseguenza di uno stato di apatia disillusiva che non vuole avere a che fare con alcuno slancio desiderante, vuole solo concludere la propria inutile esperienza terrena. Cancellazione di sé, ma anche cancellazione dell'esperienza di una generazione, che si è fatta ed è stata fatta sparire dagli annali della storia attraverso un repertorio fatto di demonizzazione, repressione poliziesca, riprogrammazione mentale, uso di droghe e marginalizzazione.

Questa, probabilmente, è la chiave di questo film di Bresson, esso rappresenta l'obliterazione di un'intera generazione, quella degli anni Settanta.

Ma da chi viene obliterata questa generazione? Un personaggio su tutti mi sembra rappresentare il chi, cioè il professore universitario. Egli è una sorta di prototipo di “cattivo maestro”, uno che parla con coerenza e vive incoerentemente i rapporti interpersonali.

Il motivo politico per cui questa figura è interessante è il fatto che egli rappresenta quella generazione del '68, che lascia indietro la generazione immediatamente successiva, la consegna, con l'inerzia o con la complicità, all'oblio storico.

In fondo, il '77 non è che la coerente estremizzazione di tutto quanto teorizzato (ma mai realmente praticato) dai giovani del '68: il raggiungimento, qui ed ora, dell'obiettivo più grande che una generazione di giovani si sia mai dato, cioè la rivoluzione, il cambiamento totale della cultura dei propri padri. Quel cambiamento solo intuito (sotto il profilo politico) e mai perseguito in precedenza. Era chiaro a tutti che questo tentativo sarebbe stato destinato al fallimento ed alla tragedia e tuttavia, la totale sovrapposizione tra sfera personale e sfera politica faceva in modo che si seguisse un filo che si sapeva sarebbe stato autodistruttivo solo per rivendicare con forza i propri valori, quelli ereditati in maniera convinta dai fratelli maggiori. Quando si è arrivati al dunque, insomma, i ragazzi del '77 sono stati lasciati soli. O, almeno, questa è stata la percezione di quegli anni.
Ma non solo di percezione si è trattato. Nel senso che il soggetto politico più di ogni altro coinvolto nel '68 in Italia, cioè il PCI, cessa di dare il proprio appoggio al '77 ed anzi, al contrario, ne determina l'insuccesso.

Sul piano soggettivo, vorrei qui citare un passaggio che sottolinea la distanza tra i militanti del PCI ed i giovani del '77, tratto da un fortunato volume/film, “Porci con le ali”. Uno dei due protagonisti, proprio in apertura del libro, liquida in questo modo il rapporto di insofferenza tra se stesso e il padre, militante PCI:

“Sto metà della notte a rigirarmi e domani mattina arrivo a scuola palliduccio e smunto e allora si comincia male anche quest’anno. Ma come cazzo faccio a dormire se il panzone continua a rimbambire quella povera donna di là. Non si stanca mai quello? Se almeno non usasse le virgolette. Ogni volta decido di star calmo, che tanto litigare non serve a niente, però cristo quando cita le ultime genialità di Napolitano e usa le virgolette, allora scoppio. Si capisce lontano un miglio che usa le virgolette - fa una pausa, prende fiato, sorriso idiota e poi vai con le masse popolari e l’importanza dello studio. E le chiude anche - largo sorriso formato nove milioni di voti e grande partito delle masse. Dio, come si fa a mettere Cossutta fra virgolette!”

Ciò che suggella la presa di distanza tra PCI e movimenti giovanili nel '77 è poi rappresentato dai fatti dell'11 e 12 marzo a Bologna. Nella 'città rossa', amministrata da Renato Zangheri, rappresentante della nomenklatura del PCI, si consuma la repressione più dura nei confronti del Movimento che si sia registrata in quel drammatico frangente storico. Quasi per accreditarsi presso le istituzioni nella propria adeguatezza a passare dall'opposizione al governo del paese, il sindaco di Bologna non esita a scatenare un esercito di carabinieri contro gli studenti universitari. Ciò che infiamma la città sul piano occasionale è l'uccisione di Francesco Lo Russo, ma sul piano sostanziale è l'immediata mobilitazione di tutti gli studenti del Movimento all'omicidio, che sentono come l'ultimo dei soprusi di cui sono oggetto quotidianamente. Nella Bologna “rossa” si misura l'indifferenza della città amministrata dal PCI nei confronti di tutti loro, che solo da ultimo si manifesta nell'omicidio da parte della Polizia di Lo Russo prima e di una reazione spropositata alla giusta protesta dei suoi compagni.

L'atteggiamento che caratterizza la relazione tra PCI e Movimento è ben sintetizzata da Filippo Scozzari, uno dei più grandi fumettisti italiani, cofondatore di fanzine culto nella storia del fumetto italiano (Cannibale, Frigidaire), ma, soprattutto, animatore e partecipante alla scena intellettuale e politica dei tardi annisettanta bolognesi.

“Le sue risposte [del PCI] a mense da epatite, tasse universitarie da cravattari, affittacamere cannibali, zero case, zero speranze, zero futuro, zero garanzie, lavori di merda, salari di merda, condizione giovanile da occultare in silenzio, periferie da inchieste del Congresso, giornali ridicoli, specchio dello spaventoso piattume generale, furono le seguenti:

Siccome però gli studi, per quanto pilotati possano essere, rischiano di far venir fuori la verità, e ti rivelano che è solo colpa tua, e ti dicono che o ti dài una mossa o la cosa si ripeterà, nelle more il PCI & la Questura immaginarono che forse un po' più d'eroina in città sarebbe stata una mano santa per spegnere bronci e vogliette per un tot d'anni. Giusto quel tanto. Già che c'è, approfittiamone, no? Poi vediamo, abbiamo ricette per ogni evenienze della vita. Intanto lasciamo che s'addormentino, non opponiamoci a questa strana sostanza che non capiamo kosé, dikié, perkié, perké. Non facciamo niente. Siamo sempre in tempo a chiedere scusa, conosciamo bene come si corregge le Storia monella.” (F. Scozzari, Prima pagare poi ricordare, Coniglio edizioni, 2006, p.41-43)

Gli studenti del Movimento, ribattezzati per l'occasione da Enrico Berlinguer “untorelli”, vengono così criminalizzati e comincia una stagione di persecuzioni giudiziarie, politiche ed intellettuali, funzionali, queste ultime, ad una “damnatio memoriae” con cui ancora oggi siamo alle prese.
L'equazione scontata tra annisettanta e annidipiombo comincia qui e si trascinerà fino al completo azzeramento di un'intera area di dissidenza, che veniva vista come il fumo negli occhi da coloro che perseguivano una politica indifferenziata, fatta di 'compromessi storici' e 'larghe intese'.
Tutto questo è vissuto dai protagonisti del Movimento italiano e da Charles, il protagonista del film di Bresson, come un tradimento. Questa generazione, in sintesi, si è sentita prima illusa e poi tradita proprio da coloro che questa illusione avevano suscitata. Resta, tuttavia, il fatto che dalla liquidazione di quella generazione non c'è stato più spazio per alcuna prospettiva di rinnovamento politico radicale, nessuna alternativa politica concreta in cui l'esercizio della critica fosse portato con efficacia fino ai fondamenti della società occidentale.

 

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