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n. 3 / luglio 2013

"Nuovo fascismo" o neoliberalismo? Michel Foucault e l'affaire Croissant

 

Alessandro Simoncini
Docente nel Laboratorio di Storia del linguaggio politico
Università per Stranieri di Perugia



1. Nel cuore degli “anni di piombo”: il caso Croissant

Come si sa, fin dai primi anni ’70 Michel Foucault avvierà l’elaborazione di un’analitica del potere capace di oltrepassare tanto la sterile dogmatica del contrattualismo liberale, quanto le insufficienze di un rigido economicismo marxista. (1) Ai suoi occhi, la lezione proveniente dagli eventi del ’68 aveva indicato la strada: i movimenti avevano rigettato materialmente l’ordine della società disciplinare affermando dal basso, e con radicalità globalmente diffusa, che «non si accettava più di essere governati in un certo modo». (2) Per dirla con Gilles Deleuze, quelle lotte avevano rappresentato «la messa a nudo di tutti i rapporti di potere, ovunque essi si esercitassero, cioè dappertutto». (3) In questo modo, esse avevano squadernato apertamente il “concreto” stesso del potere – sosteneva Foucault - fin nelle maglie più fini della sua rete. (4) Recepirne le indicazioni significava allora elaborare una “microfisica del potere” in grado di superare l’ossessione teorica della sovranità e di mostrare come la concretezza dei poteri e dei saperi avesse prodotto, storicamente e materialmente, l’assoggettamento delle menti e dei corpi: (5) il governo di tutti e di ciascuno. Alla “microfisica” Foucault associava immediatamente una militanza da “intellettuale specifico” come quella praticata nel “Gruppo di informazione sulle prigioni” tra il 1970 e il 1972: (6) qui la teoria diventava una “scatola di attrezzi” capace di potenziare i tanti “fuochi di resistenza” che sempre inquietano i dispositivi di potere-sapere attivi nei mille piani del reale. È a un simile rinnovamento della cultura politica, per una sinistra autonoma dalle burocrazie partitiche e dalle centrali sindacali, che Foucault sembra pensare fin dai primi anni ’70. Ed è ancora un simile “programma” a guidarlo qualche anno dopo, nel periodo di gestazione di quella Storia della ragion governamentale che prenderà forma nei due corsi tenuti al Collège de France tra il 1977 e il 1979: (7) un percorso intellettuale, questo, che modificherà sensibilmente gli assetti precedenti dell’analitica foucaultiana. (8) In questo passaggio teorico cruciale riveste un ruolo importante – forse centrale - l’affaire Croissant, nel quale sul finire del 1977 Foucault si impegnerà personalmente.

Copertina di Der Spiegel,10 ottobre 1977

Klaus Croissant era uno degli avvocati difensori della RAF (Rote Armée Fraktion), il gruppo comunista che si proponeva di attivare «una forma di resistenza armata collegata alle lotte anti-imperialiste dei popoli del cosiddetto Terzo mondo, mentre nel territorio in cui opera[va] (quello della Repubblica Federale Tedesca tra il 1970 e il 1993) il suo interesse [era] rivolto unicamente a […] minoranze», come i lavoratori migranti e i gruppi socialmente marginalizzati. (9) Nel luglio del 1977 Croissant si era rifugiato in Francia, dove aveva chiesto asilo politico. Precedentemente, in vista del processo al nucleo storico dei dirigenti della RAF, nel dicembre del 1974 il Bundestag di Bonn aveva legiferato per limitare esplicitamente il diritto della e alla difesa e nel maggio del 1975 Croissant era stato arrestato ed estromesso dal collegio difensivo. Nel maggio del 1976 Ulrike Meinhof – una delle principali dirigenti dell’organizzazione – era stata rinvenuta priva di vita nel carcere di Stammheim: la versione ufficiale reciterà “suicidio”. Croissant si impegna per la costituzione di una commissione internazionale di inchiesta e dopo la sua scarcerazione ripara in Francia, da dove denuncia a più riprese quella che definisce la “soluzione finale” per i detenuti politici della RAF.

Nella RFT si era ormai nel cuore degli anni di piombo: il 18 ottobre del 1977 anche Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jean-Carle Raspe, tre importanti dirigenti della RAF, muoiono in circostanze altrettanto oscure nella prigione di Stammheim: le autorità politiche, governative e gli esponenti dei principali partiti politici parlano di “suicidio destabilizzante”. Il 19 ottobre scatta la rappresaglia e viene ucciso Hans-Martin Schleyer, il presidente degli industriali tedeschi rapito il 5 settembre. Croissant verrà estradato il 16 novembre e consegnato alle autorità giudiziarie della RFT, sul cui territorio sarà processato e condannato a due anni di prigionia a Stammheim con l’accusa di sostegno ad un’associazione terroristica. (10) Foucault partecipa attivamente non solo alle manifestazioni per il riconoscimento del diritto di asilo a Croissant, ma anche al denso dibattito che prende rapidamente forma in Francia e in Europa a partire da quell’importante evento. Un evento che mette direttamente in gioco il tema del rapporto violenza politica-movimenti sociali e quello della cosiddetta “questione tedesca”, che – come si vedrà – acquisirà una rilevanza centrale nell’elaborazione foucaultiana di un “ontologia dell’attualità”. (11)

Klaus Croissant con Jean-Paul Sartre e Daniel Cohn-Bendit durante una conferenza stampa a Stoccarda nel 1974

Nella sinistra alternativa europea, soprattutto in quella tedesca e italiana, si diffonde rapidamente l’impressione che nello “Stato socialdemocratico” della RFT si vada materializzando una «riedizione estremizzata dello “stato di polizia”» adeguata all’egemonia della borghesia al tempo del capitalismo delle multinazionali: (12) qualcosa di simile alla “rinascita del Leviatano” segnalata all’epoca dallo storico del diritto Cristoph Ulrich Schminck-Gustavus (13) o al nuovo fascismo tedesco denunciato in una petizione contro l’estradizione di Croissant fatta circolare nello stesso periodo da Felix Guattari. (14) Su “Le Monde” del 2 novembre 1977, del resto, Guattari e Gilles Deleuze avevano pubblicato un articolo contro l’estradizione di Croissant nel quale - denunciando una campagna mediatica totalmente allineata alle accuse dei giornali tedeschi - sostenevano che la svolta repressiva tedesca era il laboratorio di un nuovo «modello giudiziario, politico e “informativo”». (15) Per loro, quindi, il rischio concreto era che, di lì a poco, un nuovo modello di stato autoritario avrebbe potuto essere esportato in tutta Europa: agli autori de L’anti-Edipo la Repubblica Federale Tedesca pareva insomma «l’organizzatore qualificato della repressione e dell’intossicazione negli altri paesi». (16) Contro la prospettiva di un nuovo autoritarismo europeo – sostenevano i due – occorreva allora mobilitarsi tenendo bene a mente che «la questione della violenza, e anche del terrorismo, non ha cessato dal secolo scorso di agitare il movimento rivoluzionario e operaio, sotto forme molto diverse, come risposta alla violenza imperialista». (17) Baader e il suo gruppo, in fondo, non facevano che riproporre la medesima questione al fianco dei popoli del Terzo mondo e dei marginali, considerando la Germania «un agente essenziale della loro oppressione». (18) Un’oppressione connaturata a quel sistema borghese che, in un altro articolo dedicato alla questione e pubblicato su Le Monde il 2 settembre, Jean Genet aveva apertamente definito terrorista. Per Genet bisognava di fatto essere grati alla violenza praticata dalla RAF per «averci fatto capire, non solo a parole, ma con le azioni, fuori e dentro le prigioni, che la violenza sola può dare il colpo di grazia alla brutalità degli uomini». (19) Il termine “terrorismo”, invece, avrebbe dovuto essere applicato «altrettanto e di più alle brutalità di una società borghese». (20)

Jean Genet e Michel Foucault ad una manifestazione

Foucault, che anche a partire da questa mésentente ridefinirà la propria importante amicizia con Deleuze(21), non condividerà simili posizioni. Per lui, sostenendo le ragioni di una violenza giusta scagliata contro la brutalità di stato, Genet non faceva altro che rovesciare la tradizionale opposizione canonizzata dai teorici seicenteschi della ragion di Stato, per i quali la violenza dello stato – in fondo nient’altro che una «manifestazione irruente della sua ragione» - era sempre buona e giusta perché mirata contro le cattive ed ingiuste brutalità compiute da moltitudini perturbatrici dell’ordine e della tranquillità pubblica. (22) Per Foucault, poi – che pure non si indirizzerà mai direttamente ai suoi interlocutori –, anche Deleuze e Guattari sbagliavano bersaglio: il presunto nuovo autoritarismo europeo veniva teorizzato a partire da un inesistente ritorno dello “stato di polizia”. Nella congiuntura data, invece, non vi è alcun nuovo fascismo all’orizzonte. Tutti gli strumenti di azione politica che – come la lotta armata e l’uso politico del terrore - traggono legittimità dalla lotta antifascista non possiedono quindi alcuna validità. Per Foucault, anzi, è assolutamente chiaro che nell’occidente degli anni ’70, sganciato da ogni legittimazione popolare e “nazionale”, «il terrore genera solo obbedienza cieca. Impiegare il terrore per la rivoluzione è in sé un’idea totalmente contraddittoria». (23)

Il fascismo non è più là. Nel tempo presente non si dà alcuna Germania “fascista”. Foucault non firmerà l’appello di Guattari. (24) Sosterrà l’avvocato Croissant e prenderà fisicamente parte alla manifestazione del 16 novembre contro la sua estradizione e per il diritto d’asilo, ma su basi teoriche molto diverse. Per lui – lo si è detto - il contesto del caso Croissant non è quello di un ritorno del fascismo in Germania e in Europa: «non è a quel tipo di riproposizioni che stiamo assistendo […] non ci sono mai ritorni nella storia; o meglio: ogni analisi che intenda produrre un effetto politico resuscitando vecchi spettri è destinata allo scacco». (25) L’ordine del potere che viene è «più scaltro, più sottile di quello del totalitarismo [e] le società sicuritarie che si stanno instaurando tollerano tutta una serie di comportamenti differenti, variegati, persino devianti, antagonisti». (26) A condizione però che questi siano avvolti da un “involucro” che li renda innocui, prevenendo adeguatamente “l’accidente pericoloso” ad essi potenzialmente interno. (27) In altri termini, quello che va evitato è il pericolo che può minare in modo radicale i fondamenti del “patto di sicurezza” su cui si regge essenzialmente il rapporto di uno stato con la sua popolazione. È lo “shock assoluto del terrorismo” che può smentire quel “sarete protetti” su cui lo stato fonda gran parte della propria legittimità. (28) Evento di insicurizzazione della vita degli individui e dei loro rapporti con le istituzioni che dovrebbero proteggerli, il terrorismo rischia infatti di azzerare – mettendole a nudo – le ragioni che spingono le moltitudini ad accettare gerarchie ed obbedienza. È per questo che lo stato reagisce con misure di sicurezza “al di sopra delle leggi” che pregiudicano non solo il diritto d’asilo, ma anche quello che Foucault chiama ora il “diritto dei governati”: un diritto che non va confuso con gli imprecisi e indeterminati “diritti dell’uomo”, ma che riguarda piuttosto una ben circostanziata «legittima difesa nei confronti dei governi» da far valere nel corso di battaglie reali. (29)

È un diritto, quello dei governati, la cui teoria «non è mai stata formulata». (30) Esso non deve garantire tanto un’astratta e generica umanità o il futuro governante che strapperà il posto al nemico totalitario, quanto il «dissidente perpetuo»: colui che è «in disaccordo globale col sistema in cui vive, esprime il disaccordo con i mezzi a sua disposizione ed è perseguitato per questa ragione». (31) Contro la restrizione in corso del diritto d’asilo32, il diritto dei governati di cui parla Foucault rivendica la piena attuazione del «diritto di vivere, di essere liberi, di andarsene, di non essere perseguitati» per tutti coloro che non vogliono più essere governati in un determinato modo, in un preciso luogo, da ben definite persone. (33) Il primo tra i diritti dei governati, specialmente di quelli detenuti e perciò in condizioni di inferiorità giuridica, è proprio quello alla difesa: quello, cioè, di avere un avvocato «che vi permetta di far sentire la vostra voce e di proteggere la vostra vita». (34) È proprio di quel diritto fondamentale – qualcosa di simile al “diritto di avere diritti” in quanto governati globali – che secondo Foucault sono stati privati i militanti della RAF tramite la persecuzione dei loro avvocati. Avvocati come Croissant, appunto: governato egli stesso ed avvocato dei governati, estradato nel nome di una sicurezza che mette in mora l’“arsenale giuridico” e che si pone ormai “al di sopra delle leggi”. (35)


  1. Stato di sicurezza”, “questione tedesca” e neoliberalismo


Ma il nuovo “stato di sicurezza” non è il fascismo. Certo, prevede la riattivazione di misure emergenziali ed extra-legali presentate in forma di solerti “attenzioni premurose” nei confronti del popolo. (36) Lo stato sembra ora rivolgersi ai cittadini dicendo: «guardate come siamo pronti a proteggervi, perché appena accade qualcosa di straordinario (senza tenere conto evidentemente di quelle vecchie abitudini che sono le leggi o le giurisprudenze) noi interveniamo con tutti i mezzi necessari». (37) La tradizionale promessa di protezione in cambio di obbedienza prevede dunque il normale ricorso a misure eccezionali, ma nel suo movimento di sviluppo lo stato della tarda modernità «non mira [affatto] a un maggior irrigidimento». (38) Tanto meno a un fantomatico fascismo. Punta piuttosto ad ottenere più flessibilità e una nuova elasticità. Mira a realizzare un nuova prassi liberale grazie a cui prevenire ogni rischio sistemico, attivando in permanenza pratiche di governo funzionali all’ordine del capitale, o se si vuole del mercato e della sua concorrenza. Per Foucault, insomma, la forma di stato che viene non ha nulla a che vedere con il paradigma totalitario o con un nuovo autoritarismo le cui radici sarebbero piantate nel passato. È invece la forma di un nuovo stato liberale che, diversamente da quanto accadeva nel liberalismo classico del laissez faire, si dà il compito di governare la libertà. Non certo di reprimerla dunque, ma di produrla e orientarla; da una parte lasciando operare i liberi agenti individuali che con il loro scambio danno forma all’ordine sociale complessivo e dall’altra approntando dispositivi di sicurezza capaci di prevenire i rischi che quella stessa libertà genera spontaneamente. In altri termini, come è stato correttamente osservato, per Foucault le società sicuritarie del suo tempo presente - società tolleranti, aperte, liberali che accettano l’esistenza della devianza e di illegalità ineliminabili - non sono affatto “società fasciste”. (39) Con buona pace dei tanti osservatori gauchistes che all’epoca lo pretendono per ansia di rassicurazione, esse sono invece «società permanentemente mobilitate al controllo di ciò che, di volta in volta, esse percepiscono come rischioso». (40) Sono cioè società governamentali che non reprimono la libertà, ma la suscitano e la governano grazie alla produzione continua ed incessante di «meccanismi sempre più sottili, elastici e pervasivi di sorveglianza volti a “governare” i rischi che quella stessa libertà comporta». (41) È per questo che, come ha sostenuto Michel Senellart, per Foucault la “questione tedesca” sollevata dal caso Croissant è senz’altro «una delle chiavi essenziali per la comprensione politica del presente». (42)

Durante il corso del 1979 (Naissance de la biopolitique), Foucault confermerà di non condividere quella che definisce la “statofobia” della sinistra radicale. Postulando l’idea che esista una “continuità genetica” tra le più svariate forme di stato – amministrativo, burocratico, fascista, totalitario, assistenziale – la “statofobia” di sinistra rischia infatti di diluire ogni differenza, passando senza soluzione di continuità, nell’analisi e nella critica, «dalla sicurezza sociale ai campi di concentramento». (43) Nasce così qualcosa di simile al «grande fantasma dello stato paranoico e divoratore» che la sinistra estrema condivide con i critici neoliberali del Welfare State. (44) Non che non «sia legittimo, eventualmente, detestare lo stato» - sostiene Foucault – ma chi alimenta la «grande fobia di stato» gridando alla “fascistizzazione” imminente, facendo leva sul caso tedesco, deve sapere che «sta andando nel senso della corrente», perché ovunque ormai da anni «si annuncia una reale diminuzione dello stato, della statalizzazione e della governamentalità statalizzante e statalizzata». (45) Foucault aggiunge allora che il “modello tedesco” operativo nel tempo presente non è affatto quello «dello stato bismarckiano, destinato a diventare hitleriano», bensì un altro che si diffonde progressivamente strutturando e definendo la nostra attualità nel suo profilo reale: quello che «coincide con la possibilità di una governamentalità neoliberale». (46)

Foucault comprende acutamente che, a partire dalla crisi economica dei primi anni ’70, la vera posta in gioco degli avversari “di destra” dello Stato sociale – mentre ad altri approdi miravano i suoi avversari “di sinistra” (che lo avevano contestato radicalmente nei movimenti sociali di fine anni ’60) - è la «messa in mora del modello keynesiano». (47) Un processo strategico articolato, questo, che – come è stato opportunamente sottolineato - non prende forma nel nome «di una maggior rigidità e centralizzazione dell’economia, con conseguente aumento del ruolo accentratore e pianificatore dello Stato, piuttosto il contrario». (48) Per Foucault, non c’è alcuno «Stato Moloch» in campo. Chi lo pensa sbaglia nemico e finisce per convergere oggettivamente verso il discorso delle élite neoliberali europee e statunitensi che conducono la loro battaglia proprio a colpi di “statofobia”, scorgendo nella crisi in corso la possibilità concreta di ottenere entro breve la loro rivincita politica. Una rivincita ben meditata fin dal tracollo del ’29, quando avevano dovuto battere in ritirata sotto i fendenti delle armate keynesiane.

Per questo nelle lezioni al Collège de France del 1979, indagando la nascita della biopolitica, Foucault analizzava nei dettagli la prospettiva strategica del neoliberalismo, mostrando per primo come questa non fosse in alcun modo connessa all’allestimento di dispositivi statuali repressivi della libertà individuale. La ratio programmatica neoliberale puntava, al contrario, sulla produzione di una nuova forma di libera soggettività: quella dell’homo oeconomicus. La sua libera condotta non doveva essere semplicemente repressa o rigidamente disciplinata, ma lasciata agire, orientata e governata in modo flessibile. La forma di vita pensata e progettata dai dispositivi neoliberali di governo non era quella di un soggetto laborioso, docile e dominato che poteva pur sempre rivalersi con il conflitto di classe. Era invece la vita di un imprenditore di se stesso dinamico e liberamente attivo nella società civile, perché mosso dal desiderio individuale. I neoliberali pensavano ad un soggetto che – quand’anche viva una realtà di lavoratore precarizzato o “fuori mercato” - si vuole integralmente responsabile di sé, volontariamente privo di supporti statali contro i rischi sociali e, proprio per questo, mobilitato in permanenza nella massimizzazione del proprio capitale umano: l’unica risorsa con cui poter far fronte al dinamismo concorrenziale del mercato. Per un simile programma politico e antropologico - che avrebbe presto conquistato posizioni di potere mai più abbandonate - la governamentalità statale avrebbe dovuto semplicemente assecondare, nella prassi, il regime di verità dettato dagli assiomi del mercato. Nel piano neoliberale, lo stato non scompariva affatto ma – contro l’ottica dirigista e regolamentativa dello Stato sociale – doveva limitarsi a garantire un intervento finalizzato a produrre il quadro giuridico-istituzionale più adeguato al funzionamento ottimale della concorrenza: il solo gioco in cui - come avevano teorizzato fin dagli anni ’30 gli ordoliberali tedeschi - l’individuo-azienda avrebbe potuto ottenere la propria realizzazione personale, esito produttivo di una libertà ben governata. (49)

Gilles Deleuze, Michel Foucault e Jean Paul Sarte ad una manifestazione

Tutto questo, a ben vedere, si poteva evincere dalla “questione tedesca” se adeguatamente indagata con gli occhi del genealogista. Dismessi gli occhiali ormai inutilizzabili del “ritorno al fascismo” ed inforcati quelli dell’ontologo del presente, Foucault aveva correttamente colto il modo in cui il caso Croissant interrogava radicalmente la costituzione materiale dell’attualità politica, aprendo allo studio della governamentalità neoliberale. Solo indagandola a fondo, nella sua genesi e nella sua logica, si sarebbe potuto infatti deleuzianamente mostrare – sembrava pensare Foucault - «quali sono oggi i divenire che ci attraversano, che ricadono nella storia senza derivarne o piuttosto che ne derivano solo per uscirne». (50) Quei divenire, cioè, che il filosofo coglieva acutamente fin dal principio e che rimandavano alla cruciale transizione dal cosiddetto Welfare State al nuovo stato del neo-liberalismo; o se si vuole a quel duro e progressivo attacco allo Stato sociale che è tuttora in corso. Nella nostra stessa attualità, infatti - in una temperie da crisi permanente che riattiva la vecchia e mai archiviata logica capitalistica dell’accumulazione originaria – la governamentalità neoliberale così ben indagata da Foucault genera in Europa la figura severa dello Stato del debito: una ben precisa modalità del governo dei viventi che - sotto l’accorta e per nulla casuale regia tedesca - consiste nel colpevolizzare le popolazioni per meglio governarle con la sferza dell’austerità. (51) Sul piano globale, intanto, avanza senza posa la “grande trasformazione” che, consumando un po’ ovunque il ritiro dello stato dagli ambiti sociali ed estendendo rizomaticamente l’assioma della valorizzazione capitalistica, sancisce la superfluità di una quota crescente di esseri umani, derubricati di fatto alla voce “masse senza volto”. (52)

Boris de Freitas, Faces en masse, sold 2008



(1) Per un’analisi esaustiva dell’analitica del potere in Foucault, cfr. almeno L. Bernini, Le pecore e il pastore. Critica, politica, etica nel pensiero di Michel Foucault, Napoli, Liguori, 2008, pp. 101 e ss.

(2) D. Trombadori (a cura di), Colloqui con Foucault (1978), Salerno, Cooperativa Editrice, 1981, p. 77.

(3) G. Deleuze (1986), Foucault, Milano, Feltrinelli, 1987, p. 142.

(4) M. Foucault, Vérité et pouvoir, in "L'Arc", 1977, pp. 19-20.

(5) Sulla critica foucaultiana della sovranità, cfr. tra i tanti O. Marzocca, La stagione del potere come guerra, in “Millepiani”, 27, 2004, pp. 63-83.

(6) Cfr.P. Artières, L. Quéro et M. Zancarini-Fournel (a cura di), Le Groupe d'Information sur les Prisons : archives d'une lutte, 1970-72, Paris, IMEC, 2003 e S. Vaccaro, Biopolitica e disciplina. Michel Foucault e l’esperienza del Gip, Milano, Mimesis, 2005.

(7) M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978) e Id., M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), entrambi Milano, Feltrinelli, 2005.

(8) Sul tema, tra i tanti cfr. M. Senellart, Governamentalità e ragion di stato, in “Archivio della ragion di stato”, 2, 1994, pp. 37-73 e L. Bernini, Le pecore e il pastore, cit.

(9) E. Quadrelli, La guerriglia senza territorio. Michel Foucault, Autonomia operaia e il “caso Germania”: “attualità” di un dibattito, in Rote Armée Fraktion, Gli scritti della guerriglia urbana 1970/1977, Bra, Materiale resistente, 2006, p. 9.

(10) Su tutto ciò, cfr E. Quadrelli, La guerriglia senza territorio, cit., pp. 8-15 e H. G. Matthew, Foucault’s “German Moment”: Genealogy of a Disjuncture, in “Foucault Studies”, 13, 2012, pp. 116-137.

(11) M. Senellart, Nota del curatore, in M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., pp. 276-277. Sul pensiero di Foucault come “ontologia dell’attualità”, cioè come “ontologia critica di noi stessi”, cfr. almeno M. Foucault, What is Enlightenment?, in P. Rabinow (a cura di), The Foucault Reader, London, Penguin Books, 1984, ora in M. Foucault, Dits et ecrits, vol. 2, Paris, Gallimard, 2001, Seuil, pp. 1396 e ss.; Id., Illuminismo e critica (1978), Roma, Donzelli, 1997, su cui cfr. La bella introduzione di Paolo Napoli, Il “governo” e la “critica”, pp. 7-30. Sull’intera tematica, cfr. poi J. Revel, Michel Foucault, un’ontologia dell’attualità, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.

(12) E. Quadrelli, La guerriglia senza territorio, cit., p. 15.

(13) C. U. Schminck-Gustavus, La rinascita del Leviatano. Crisi delle libertà politiche nella Repubblica Federale Tedesca, Milano, Feltrinelli, 1977.

(14) Cfr. D. Macey, Michel Foucault, Paris, Gallimard, 1994, p. 403.

(15) G. Deleuze, F. Guattari, Le pire moyen de faire l’Europe, in “Le Monde”, 2 novembre 1977, ora in G. Deleuze, Deux régime de fous. Textes et entretiens 1975-1995, Paris, Minuit, 2003, p. 136.

(16) G. Deleuze, F. Guattari, Le pire moyen de faire l’Europe, cit., p. 136.

(17) Ivi, p. 137.

(18) Ibidem.

(19) J. Genet, Violence et brutalité, in “Le Monde”, 2 settembre 1977.

(20) Ibidem.

(21) Sui motivi politici e teorici della “rottura” tra Foucault e Deleuze, cfr. F. Dosse, Deleuze et Foucault: une amitié philosophique, Paris, La Découverte, 2007, pp. 364-393; D. Rabouin, Entre Deleuze et Foucault: penser le désir, in “Critique”, 637-638, 2000, pp. 475-490; S. Berni, U. Fadini, Linee di fuga. Nietzsche, Foucault, Deleuze, Firenze, Firenze University Press, 2010.

(22) M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 192.

(23) M. Foucault, Le savoir comme crime, in “Jyôkyô”, aprile 1976, cit., in M. Senellart, Nota del curatore, cit., p. 363. In un’intervista rilasciata a R. Lefort nel novembre del 1977, Foucault sostiene che il terrorismo “viene accettato” solamente «quando si fa espressione di una nazionalità che non ha ancora indipendenza né strutture statuali». E, continua, per quanto le popolazioni interessate dal fenomeno possano essere contrarie a «tale o talaltro tipo di azione, il principio stesso di questo terrorismo non è fondamentalmente rifiutato». Esso viene invece sempre rigettato quando è praticato «a nome di una classe, di un gruppo politico, di un’avanguardia o di un gruppo marginale». M. Foucault, La sicurezza e lo stato (1977), in Id., La strategia dell’accerchiamento. Conversazioni e interventi1975-1984, Palermo, Duepunti, 2009, pp. 68-69.

(24) Secondo Didier Eribon, che fonda la sua ipotesi su un passo del diario di Claude Mauriac, Foucault voleva risolutamente evitare che il suo appoggio all’avvocato Croissant venisse confuso con un sostegno al terrorismo della RAF. Mauriac scrive di aver chiesto a Foucault, qualche tempo dopo, di contattare una persona X per firmare una lettera a sostegno di un gruppo di lavoratori migranti indirizzata al sindaco di Parigi. La risposta di Foucault, nel ricordo di Mauriac, è la seguente: «non ci vediamo più […] dalla storia di Klaus Croissant. Io non accettavo il terrorismo e il sangue, non approvavo Baader e la sua banda». Per Eribon quel mister X «è sicuramente Deleuze». C. Mauriac, Le temps immoble, Paris, Grasset, 1986, p. 388, cit., in D. Eribon, Michel Foucault, Milano, Leonardo, 1989, p. 309.

(25) M. Foucault, La sicurezza e lo stato, cit., p. 70.

(26) Ivi, p. 73.

(27) Ibidem.

(28) Ivi, p. 71.

(29) M. Foucault, Klaus Croissant sarà estradato (1977), in Id., La strategia dell’accerchiamento, cit., p. 57.

(30) Ivi, p. 53

(31) Ivi, p. 56.

(32) Merita ribadire che, per Foucault, anche sul terreno del diritto internazionale non ci si trova di fronte ad una semplice regressione poliziesca ed autoritaria europea, bensì a «una specie di mercato mondiale della giustizia politica inteso a ridurre le franchigie costituite dall’asilo politico che in generale erano una garanzia per il dissenso politico. Non bisogna dimenticare – aggiunge il filosofo - che nelle convenzioni bilaterali le restrizioni più importanti in materia di asilo politico sono state ottenute su richiesta dei paese africani. Il problema oltrepassa di molto l’Europa». M. Foucault, Ormai la sicurezza è al di sopra delle leggi (1977), in Id., La strategia dell’accerchiamento, cit., p. 63.

(33) M. Foucault, Klaus Croissant sarà estradato, cit., p. 57.

(34) Ivi, p. 58.

(35) M. Foucault, Ormai la sicurezza è al di sopra delle leggi (1977), cit., p. 63.

(36) M. Foucault, La sicurezza e lo stato, cit., p. 72.

(37) Ibidem.

(38) Ivi, p. 76.

(39) S. Chignola, Prefazione, in Id. (a cura di),  Governare la vita. Un seminario sui Corsi di Michel Foucault al Collège de. France (1977-79), Verona, ombre corte, 2006, pp. 9-10.

(40) Ibidem.

(41) Ivi, p. 9.

(42) M. Senellart, Nota del curatore, cit. p. 277.

(43) M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., pp. 155.

(44) Ivi, p. 155.

(45) Ivi, p. 159.

(46) M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., pp. 159-160.

(47) E. Quadrelli, La guerriglia senza territorio, cit., p. 13.

(48) Ibidem.

(49) Su tutto ciò, M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., pp. 73-216.

(50) G. Deleuze, Che cos’è la filosofia (1991), Torino, Einaudi, 1996, p. 106.

(51) Cfr. M. Lazzarato, La fabbrica dell'uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista, Roma, Deriveapprodi, 2012.

(52) E. Quadrelli, Far morire e lasciar vivere. Masse senza volto e capitalismo globale, in Id., Gabbie metropolitane. Modelli disciplinari e strategie di resistenza, Lucca, La casa Usher, 2013, pp. 7-28.


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