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n. 3 / luglio 2013

Annisettanta. Un'introduzione

 

di Giuseppe Cascione
Professore aggregato di Filosofia Politica
Università degli Studi di Bari Aldo Moro

 

L'età dell'oro, semmai c'è stata, era quella.

Il conflitto sociale e politico era all'ordine del giorno ed i giornali sembravano bollettini di una guerra strisciante, sorda, fratricida. I governi duravano pochi mesi e la stabilità politica era pura utopia. Nella prima metà degli anni Settanta la crisi economica mordeva l'economia italiana, in piena transizione, e cominciava ad impoverirsi il ceto medio, che fino ad allora aveva tenuto in
piedi le prospettive di sviluppo nazionale. Ricordate lo shock petrolifero?
In che senso parliamo di età dell'oro dunque? Per ora decliniamo solo tre degli aspetti in cui la società italiana del periodo ha raggiunto un livello dopo il quale si poteva (e lo si è fatto) solo peggiorare.

La prima questione è quella della speranza di cambiamento. Gli annisettanta sono stati anni in cui si pensava realmente alla possibilità che si potesse cambiare la società italiana prima e la forma di vita, più in generale, poi. Ma, quel che più interessa, si pensava che questa speranza potesse avere una effettualità politica: il cambiamento era possibile, era possibile incarnare la speranza nella storia. Con il senno di poi tutti i nostri acuti analisti politici e storici (maestri di disincanto) ridono di questo approccio "ingenuo", ma trascurano due elementi. Il primo è che nella storia - almeno fino a tutti gli annisettanta - ciò in cui si crede orienta nei fatti la propria pratica di vita. Lungi da atteggiamenti cinici e disillusi, almeno fino al millenovecento-settantotto, i ragazzi del Movimento al contrario mantenevano un approccio 'caldo' con il proprio credo politico, che ha loro permesso di provare veramente a cambiare il corso della storia. Il secondo è che il fatto che le cose vadano in un modo piuttosto che in un altro non avviene per caso o, peggio ancora, per destino. C'è sempre un gioco di volontà e di forze politiche che determinano il successo dell'una o dell'altra opzione, pure, lo ammetto, all'interno di una graduazione probabilistica delle stesse. Resta il fatto, secondo me incontestabile, che la spinta decisiva verso l'esito che la vicenda ha avuto è stata il frutto di una posizione politica precisa, che faceva riferimento a precisi interessi politici e ad un'altrettanto precisa strategia.

La seconda questione è quella della partecipazione politica. Mai come negli odiati/amati annisettanta i cittadini italiani, tutti i cittadini italiani, hanno fatto della politica l'elemento principale attorno al quale far ruotare tutta la propria esistenza. La scienza politica è solita ricordare che nelle società contemporanee quello che si crede essere un atto di grande impegno politico, cioè l'esercizio del voto, non è che il grado zero della partecipazione. L'aver ridotto la passione politica al voto ed il sapere politico collettivo alla visione dei telegiornali è il background del disimpegno populistico delle società postmoderne occidentali. Non c'è, al contrario, democrazia senza partecipazione politica. Non c'è circolazione delle elites politiche senza partecipazione politica. Senza di essa non c'è alcun valido controllo che il cittadino possa esercitare su quella che oggi chiamiamo la casta dei politici.

Infine, in questa introduzione, il terzo elemento su cui ci soffermiamo è quello dell'azione politica esercitata dal basso, in forma semi organizzata, in forma di movimento di massa. Una vasta area di opinione, quella dei giovani altamente scolarizzati, ha esercitato una potenza politica nella forma di un movimento totalmente privo di una struttura organizzata. Nonostante questo ha profondamente inciso nella trasformazione della società italiana, costringendo le forze politiche prima e lo Stato stesso poi a mutare in modo radicale le forme di organizzazione della società nel suo complesso.
Questa specie di miracolo politico, è stato possibile grazie ad una dinamica di coordinamento tra il Movimento e le istanze di liberazione di cui era portatore, e il partito che aveva scelto di (o piuttosto era stato costretto a) rappresentarle, il PCI. Provvisoriamente diremo che il settantasette rappresenta il momento storico in cui questo legame, apparentemente solido, si decompone con una rapidità sconcertante per chi ha vissuto quegli anni.
Per una analisi eterogenea, ma , come al solito in questa rivista, profonda, rimandiamo ai numerosi e, a mio avviso, molto interessanti saggi di questo numero. 

 

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