n. 4 / gennaio 2014
Serial power. La politica impolitica delle serie tv
n.3 / luglio 2013
Annisettanta
n. 2 / gennaio 2013
Il viaggio e l'immagine dell'Altro
n. 1 / luglio 2012
Le speranze deluse del POST
n. 0 / gennaio 2012
Che cos’è l’iconocrazia
n. 3 / luglio 2013
Annisettanta. Un'introduzione
di Giuseppe Cascione
Professore aggregato di Filosofia Politica
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
L'età dell'oro, semmai c'è stata, era quella.
Il conflitto sociale e politico era all'ordine del giorno ed i giornali sembravano bollettini di una
guerra strisciante, sorda, fratricida. I governi duravano pochi mesi e la stabilità politica era pura
utopia. Nella prima metà degli anni Settanta la crisi economica mordeva l'economia italiana, in
piena transizione, e cominciava ad impoverirsi il ceto medio, che fino ad allora aveva tenuto in
piedi le prospettive di sviluppo nazionale. Ricordate lo shock petrolifero?
In che senso parliamo di età dell'oro dunque? Per ora decliniamo solo tre degli aspetti in cui la
società italiana del periodo ha raggiunto un livello dopo il quale si poteva (e lo si è fatto) solo
peggiorare.
La prima questione è quella della speranza di cambiamento. Gli annisettanta sono stati anni in cui si
pensava realmente alla possibilità che si potesse cambiare la società italiana prima e la forma di
vita, più in generale, poi. Ma, quel che più interessa, si pensava che questa speranza potesse avere
una effettualità politica: il cambiamento era possibile, era possibile incarnare la speranza nella
storia. Con il senno di poi tutti i nostri acuti analisti politici e storici (maestri di disincanto) ridono
di questo approccio "ingenuo", ma trascurano due elementi. Il primo è che nella storia - almeno fino
a tutti gli annisettanta - ciò in cui si crede orienta nei fatti la propria pratica di vita. Lungi da
atteggiamenti cinici e disillusi, almeno fino al millenovecento-settantotto, i ragazzi del Movimento al
contrario mantenevano un approccio 'caldo' con il proprio credo politico, che ha loro permesso di
provare veramente a cambiare il corso della storia. Il secondo è che il fatto che le cose vadano in un
modo piuttosto che in un altro non avviene per caso o, peggio ancora, per destino. C'è sempre un
gioco di volontà e di forze politiche che determinano il successo dell'una o dell'altra opzione, pure, lo ammetto, all'interno di una graduazione probabilistica delle stesse. Resta il fatto,
secondo me incontestabile, che la spinta decisiva verso l'esito
che la vicenda ha avuto è stata il frutto di una posizione politica precisa, che faceva riferimento a
precisi interessi politici e ad un'altrettanto precisa strategia.
La seconda questione è quella della partecipazione politica. Mai come negli odiati/amati
annisettanta i cittadini italiani, tutti i cittadini italiani, hanno fatto della politica l'elemento principale
attorno al quale far ruotare tutta la propria esistenza. La scienza politica è solita ricordare che nelle
società contemporanee quello che si crede essere un atto di grande impegno politico, cioè
l'esercizio del voto, non è che il grado zero della partecipazione. L'aver ridotto la passione
politica al voto ed il sapere politico collettivo alla visione dei telegiornali è il background del
disimpegno populistico delle società postmoderne occidentali. Non c'è, al contrario, democrazia
senza partecipazione politica. Non c'è circolazione delle elites politiche senza partecipazione
politica. Senza di essa non c'è alcun valido controllo che il cittadino possa esercitare su quella che
oggi chiamiamo la casta dei politici.
Infine, in questa introduzione, il terzo elemento su cui ci soffermiamo è quello dell'azione politica esercitata dal
basso, in forma semi organizzata, in forma di movimento di massa. Una vasta area di opinione,
quella dei giovani altamente scolarizzati, ha esercitato una potenza politica nella forma di un
movimento totalmente privo di una struttura organizzata. Nonostante questo ha profondamente
inciso nella trasformazione della società italiana, costringendo le forze politiche prima e lo Stato
stesso poi a mutare in modo radicale le forme di organizzazione della società nel suo complesso.
Questa specie di miracolo politico, è stato possibile grazie ad una dinamica di coordinamento tra il
Movimento e le istanze di liberazione di cui era portatore, e il partito che aveva scelto di (o
piuttosto era stato costretto a) rappresentarle, il PCI. Provvisoriamente diremo che il settantasette
rappresenta il momento storico in cui questo legame, apparentemente solido, si decompone con una rapidità sconcertante per chi ha vissuto quegli anni.
Per una analisi eterogenea, ma , come al solito in questa rivista, profonda, rimandiamo ai numerosi e, a mio avviso, molto interessanti saggi di questo numero.
Annisettanta
di Giuseppe Cascione
Saggi
Prima di Zanardi
rivoluzioni grafiche e narrative nel calore degli anni '70
di Stefano Cristante
Zeitgeist? What Zeitgeist?
di Mike Tyldsley
"Nuovo fascismo" o neoliberalismo? Michel Foucault e l'affaire Croissant
di Alessandro Simoncini
1977. Prove (riuscite) di esorcismo del dissenso politico
di Giuseppe Cascione
Parco Lambro 1976 e la falsa utopia del proletariato giovanile
di Mario De Tullio
Pop anni settanta
di Ivan Scarcelli
Lotta Continua
di Fabrizio Fiume
Immaginario armato
La scelta dei simboli nella strategia delle prime BR
di Gabriele Donato
Berlinguer e il settantasette
di Claudio Bazzocchi
Declinazioni cinematografiche della scelta e della responsabilità
di Luana Piscopo
Prima della "Milano da bere". Memorie della Scighera
di Aldo Vassallo
Icone di piazza: le donne nelle fotografie di Tano D'Amico
di Laura Labate