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n. 2 / gennaio 2013

I SOGGETTI E I POTERI.
Introduzione alla filosofia sociale contemporanea

di Vincenzo Rosito, Michele Spanò
Carocci Editore, Roma 2013

 

Emanuele Clarizio
Dottorato in Filosofia e Storia della Filosofia
Università degli Studi di Bari Aldo Moro

 

La filosofia è una riflessione per la quale
ogni materia estranea è buona, anzi potremmo dire:
per la quale ogni buona materia deve essere estranea.

G. Canguilhem


Quest’uscita editoriale va salutata con favore per molteplici ragioni, riconducibili ai numerosi elementi di novità che la sostanziano. Il più palese di essi è che si tratta della prima introduzione alla filosofia sociale contemporanea, fatto che appare ancora più importante se si tiene presente che il libro è scritto da due giovani e promettenti studiosi, la cui biografia intellettuale è segnata da un forte approccio transdisciplinare: entrambi di formazione filosofica, Vincenzo Rosito insegna Storia delle dottrine politiche e Filosofia, Michele Spanò, assegnista di ricerca in diritto privato, adopera gli strumenti della filosofia sociale nello studio delle tecniche e delle procedure giuridiche.

I soggetti e i poteri, dovendo tracciare i confini ancora incerti di una disciplina, affronta innanzi tutto il problema di smarcare il proprio ambito discorsivo da quello della filosofia politica, e lo fa con un’abile mossa teorica secondo la quale laddove la filosofia politica è generalmente percorsa da una prospettiva normativa, caratterizzata dal modo della prescrizione, la filosofia sociale si pone come un’analitica dei diversi regimi di normatività, la sua postura essendo dunque diagnostica. Ciò che è in gioco in questo scarto è nientemeno che la natura del potere, il quale non viene pensato in analogia a un Dio trascendente che regge i fili dei destini umani, ma alloggia piuttosto in un Olimpo abitato da numerosi dei in concorrenza, che sono coinvolti nelle storie umane e traggono da esse la propria linfa. Contraltare di questo potere politeista, irriducibile alle sembianze della sovranità con le quali è stato spesso pensato, non sarà allora un soggetto definito una volta per tutte, la cui universalità è forgiata sulle fattezze del maschio bianco occidentale, eterosessuale, cristiano e magari anche liberale, ma una pluralità di soggetti costituita in maniera contingente in base alle differenze storiche, geografiche, politiche e in senso lato culturali, o in una parola: sociali. È evidente l’ispirazione foucaultiana di questa operazione, che peraltro gli autori non tentano di celare, dichiarando che il titolo del libro è la declinazione al plurale del titolo di un articolo di Michel Foucault, Il soggetto e il potere. La citazione manomessa, se da un lato intende portare fino in fondo le intuizioni foucaultiane sull’immanenza delle relazioni di potere rispetto al corpo sociale e sul loro carattere micro-politico, dall’altro ne radicalizza le conseguenze lasciando emergere una posizione forte, sapientemente non enunciata dagli autori ma lasciata leggibile fra le righe, nonostante il basso profilo annunciato dall’affidamento a un metodo analitico e diagnostico. In buona sostanza, la pluralità dei poteri e dei soggetti sta qui a destituire l’univocità del “politico” e a dislocare quest’ultimo in ogni campo dell’agire e del patire umani, criticando il discorso della filosofia politica che, insistendo prevalentemente sulla dimensione istituzionale, spesso si lascia sfuggire la complessità e insieme la processualità dei rapporti sociali e perde in ultima istanza la presa sugli snodi schiettamente politici – se si intende la politica, foucaultianamente, come il processo attraverso il quale si strutturano i rapporti di governo delle condotte all’interno di un campo infinito di mediazioni.

La parzialità è dunque la cifra dell’esperimento che questo libro vuole essere, una parzialità consapevole e si direbbe quasi orgogliosamente rivendicata, che giustifica la mancanza di esaustività delle posizioni prese in esame. Coerentemente con l’impostazione plurale della filosofia sociale, non c’è nessuna pretesa di fornire un punto di vista obiettivo sulle dottrine dei vari autori affrontati, in modo che si può (finalmente) dissertare di Foucault senza farne il teorico della biopolitica, di Laclau senza parlare di populismo, di femminismo senza citare Simone de Beauvoir e così via. Tutte queste non vanno tuttavia interpretate come delle mancanze, al contrario va reso atto del coraggio delle scelte da parte di questi giovani studiosi, che si assumono in pieno la responsabilità di elaborare una lettura originale di una disciplina non sistematizzata, senza però tentarne una canonizzazione, ma piuttosto testimoniando la possibilità di articolare plurivoci discorsi attorno ai problemi politici dello sfaccettato mondo contemporaneo.

Prima di esaminare il contenuto del volume, c’è ancora un altro aspetto formale che merita attenzione, ossia la nominazione dei capitoli, ognuno dei quali è indicato da un verbo riflessivo infinito, a sottolineare il carattere in fieri della filosofia sociale e la sua prospettiva plurale, nonché il suo essere non solo una critica, ma anche sempre una auto-critica, nella misura in cui è in gioco lo stesso statuto di soggetto politico di colui che parla. Riconoscersi, Governarsi, Sollevarsi, Nominarsi, Immaginarsi sono così i cinque verbi che descrivono la mappa della filosofia sociale. L’unico di essi che ha echi immediatamente riconducibili a un tema classico della filosofia politica è senza dubbio il primo, che si riferisce alla ripresa di Hegel in chiave politica effettuata dai teorici della Scuola di Francoforte a partire dagli anni trenta del secolo scorso con Max Horkheimer fino a giungere a Alex Honneth. È forse in questo lignaggio hegeliano – mediato dal materialismo marxiano – che va individuato il fecondo seme di sviluppo della filosofia sociale in quanto ontologia politica dei soggetti: così come Hegel, proprio tramite la teoria del riconoscimento, si è smarcato dalla concezione illuminista e kantiana del soggetto libero e autonomo, istituendo l’importanza dell’alterità per la costituzione della soggettività, la filosofia sociale si è impegnata, da allora, in un continuo movimento di alterazione e ibridazione del soggetto e ha colto in questo processo di esteriorizzazione delle condizioni della soggettività e storicizzazione del trascendentale il momento politico per eccellenza. Tutto ciò che contribuisce a modificare le nostre pratiche e le concettualizzazioni che ne facciamo entra così a pieno titolo nell’ambito del politico; di qui deriva anche l’approccio transdisciplinare della filosofia sociale, la cui necessità era già evidente agli intellettuali francofortesi.

Seguendo dunque il percorso delineato nel volume, si può cogliere nella complicazione della soggettività che si fa autocritica e autocosciente il momento fondativo della filosofia sociale, poiché la critica si riconosce ora parte della totalità sociale alla quale si rivolge, secondo quel tipico movimento che Adorno ha definito dialettica negativa, deputato nella sua concezione a contrastare la tendenza totalizzatrice e omologante del mondo industrializzato (§ 1.1). Sarà Habermas (§ 1.2) a recuperare una valenza di sintesi al metodo dialettico, riponendo grande fiducia nell’agire comunicativo, che a suo dire avrebbe nelle condizioni trascendentali e discorsive del dialogo una garanzia di raggiungimento del consenso razionale. Honneth è invece colui che ha tentato di conciliare le due anime, quella critica e quella universalistica, della tradizione della Scuola di Francoforte, ovvero l’aspetto conflittuale dei rapporti di potere con un paradigma etico-sociale intersoggettivo, avvalendosi anche del ricorso alle teorie psicanalitiche di Winnicot.

Il § 1.3 cambia decisamente tema affrontando le teorie antropologiche del dono, la cui legittimità teorica è stata consacrata dal Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali (MAUSS), nato nel 1981 richiamandosi all’eredità del sociologo francese Marcel Mauss. Senza entrare qui nel merito del paradigma del dono, basta dire che la sua importanza per una filosofia sociale risiede nel rapporto virtuoso che esso ingenera fra teorie e pratiche, cogliendo in queste un momento fondamentale per la descrizione dinamica di una società. Al movimento di alterazione della soggettività che contraddistingue la filosofia sociale si accompagna dunque una progressione costante di spostamenti teorici – il cui reperimento privilegeremo qui rispetto al riassunto dei contenuti – volta a riconoscere la portata politica di oggetti a prima vista estranei all’ambito di ciò che comunemente si etichetta come politico. È in quest’ottica che va intesa anche l’inclusione nella filosofia sociale delle filosofie della cura (§ 1.4), che tematizzano le nostre intrinseche vulnerabilità e dipendenza dall’altro, portate all’attenzione del dibattito pubblico grazie al peculiare sguardo femminile sulla società – non a caso i riferimenti sono per lo più donne come Nancy Fraser, Joan Tronto e Carol Gilligan (autrice di Con voce di donna), o l’italiana Elena Pulcini, a cui il volume riserva una giusta attenzione. Trova posto in questo primo capitolo anche un paragrafo (§ 1.5) sul liberalismo di matrice rawlsiana e sulla critica che gli muove Amartya Sen denunciandone l’illusione dell’unicità, al quale egli contrappone una concezione concorrenziale dell’identità.

Il secondo capitolo si apre sui soli due filosofi del diciannovesimo secolo che fanno capolino in tutto il libro, Alexis de Toqueville e John Stuart Mill (§ 2.1), i quali hanno posto l’accento sulle passioni dell’homo democraticus e hanno compreso che ogni impalcatura teorica non può prescindere dall’elemento passionale e deve dunque incorporare questa materia prima della politica. Questa genealogia del pensiero democratico che trova nelle istanze dei soggetti il proprio principio ispiratore prosegue esaminando il concetto di “contro-democrazia” di Pierre Rosanvallon e si prolunga, in modo coerente con le premesse ma con una discontinuità considerevole nel modo in cui bypassa le “tradizioni” filosofiche, soffermandosi sul concetto, di conio foucaultiano, di “governamentalità”. Per Foucault la governamentalità è “una specifica razionalità di potere”(p. 81), in cui ne va in modo precipuo del modo di essere soggetti attraverso il governo di sé e il governo degli altri. Questa griglia di intelligibilità permette a Foucault di abbandonare “tanto il modello giuridico che quello polemologico del potere”(p.85), facendo appunto dei soggetti e delle loro condotte la vera posta in gioco della politica.

L’esigenza di governarsi che sempre più accompagna l’idea della democrazia trova nelle proposte di democrazia partecipativa uno dei momenti più importanti (§ 2.3), in contrapposizione alle concezioni rappresentative, intese come troppo formali ed elitarie (cfr. Yves Sintomer, Il potere al popolo). Alle varie discussioni che fanno della società l’oggetto del proprio interesse, viene poi affiancata una serie composita di autori che ha pensato l’esperienza dell’organizzazione umana nei termini della comunità, come ad esempio Jean-Luc Nancy o Roberto Esposito (§ 2.4). In queste riflessioni la filosofia sociale manifesta la propria capacità di concernere il politico anche, se non soprattutto, quando il discorso si eleva su un piano ontologico (§ 2.5) e l’essere-in-comune viene giustificato a un livello fondamentale.

Il capitolo intitolato Sollevarsi avrebbe forse potuto intitolarsi rivoltarsi, se si considera che il primo paragrafo è dedicato all’irruzione della psicanalisi nella filosofia sociale e alla conseguente insurrezione del soggetto contro se stesso in virtù dell’alterità che lo abita intimamente – l’inconscio – (§ 3.1), secondo quella movenza, che ormai abbiamo imparato a riconoscere, per cui l’essere sociale del soggetto è dovuto innanzi tutto a ciò che lo altera. Dall’elogio del conflitto interiore si passa a quello del conflitto sociale (§ 3.2), chiamando in causa questa volta una schiera di intellettuali engagés che trovano i propri antesignani autorevoli in tre personaggi quali Carl Schmitt, Antonio Gramsci e Louis Althusser. Su questa scia si colloca anche la riflessione che, riprendendo la nozione gramsciana di egemonia, tenta di trasformare la posizione antagonista in una prospettiva d’avanguardia, dove la possibilità di vittoria sarebbe garantita dal carattere “agonistico” della politica (§ 3.3). Si tratta di riflessioni contemporanee che tentano di contrastare la deriva post-politica del governo in governance demistificando la sua pretesa di imparzialità e denunciando al contrario che ogni amministrazione economicistica dell’esistente non è che un tentativo di sopirne il potenziale sovversivo (§ 3.4).

La lettura di Nominarsi è un vero e proprio esercizio educativo; grazie allo straniamento offerto dal punto di vista dell’antropologia, degli studi di genere e degli studi postcoloniali si è portati finalmente a relativizzare le proprie categorie interpretative della realtà. Se l’antropologia e l’etnologia ci insegnano che “non esiste un’origine pura dell’umanità, ma soltanto le sue infinite trasformazioni”(p.177) (§ 4.2), l’invito a “provincializzare l’Europa” degli studi subalterni e postcoloniali ci mostra che non c’è un Oriente, né tantomeno un unico capitalismo dallo sviluppo identico ovunque, ma numerose “modernità alternative” (§ 4.3). Analogamente, il pensiero della differenza sessuale porta a mettere in discussione la categoria stessa di Uomo, insistendo sul fatto che le differenze sono almeno altrettanto importanti delle uguaglianze fra i soggetti, che questi sono sempre sessuati e che tale differenza ha una rilevanza politica (§ 4.4); il pensiero queer si spinge fino a teorizzare la totale fluidità e mobilità delle identità (§ 4.5). Molto ci sarebbe da dire su questo che è forse il capitolo più interessante e che meglio incarna il progetto del libro; se è vero, come ha scritto Gilles Deleuze, che la filosofia è creazione di concetti, bisognerà prolungare la validità di quest’asserzione affermando che i concetti sono a loro volta creatori di realtà. La tesi teorica di questo libro, parallela e complementare a quella politica secondo cui il politico è ovunque vi sia soggettivazione o assoggettamento, è infatti tutta nella parentesi finale della seguente definizione di filosofia sociale: “la filosofia sociale … non riduce la politica e la democrazia a qualcosa che deve essere, ma – declinandole nel modo del possibile e disseminandole nel numero del molteplice – le approssima nel loro dirsi e nel loro farsi (che sono poi la stessa cosa).”(p.14)

Non a caso l’ultimo capitolo, dedicato alla globalizzazione e ai problemi a essa connessi, dedica un intero paragrafo (§ 5.3) alle antropologie della tecnica; il linguaggio non è infatti che una specie di tecnica, e se si intende la tecnica – ciò per cui l’uomo è già sempre estaticamente nel mondo – come ciò che ci è più proprio, sicché ciò che maggiormente contribuisce all’individuazione è la nostra stessa apertura al mondo (cfr. Arnold Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo), tutto ciò che precede circa l’ontologia sociale plurale dei soggetti ne deriva coerentemente.

Il merito di questa Introduzione è senza dubbio quello di essere riuscita, in maniera agile e succinta, a far dialogare virtuosamente gli ambiti discorsivi delle scienze sociali e della filosofia, in un incrocio dove essi si mettono a valore vicendevolmente – le scienze sociali ancorando la filosofia a delle pratiche (discorsive e non) e la filosofia fomentando il potenziale critico di queste, in un corto-circuito il cui risultato è l’indicazione e la produzione dei problemi politici più urgenti per il nostro presente. Se quest’introduzione non è abbastanza esauriente da servire come un manuale, essa ha però il vantaggio di incuriosire il lettore e di spingerlo da un lato ad approfondire le differenti linee teoriche presentate, dall’altro a problematizzare e aggiornare continuamente le proprie categorie concettuali. D’altro canto, dal momento che una delle lezioni del libro riguarda la storicità dei concetti, delle teorie e dei modi di pensare e poiché la sua impronta è dichiaratamente parziale, c’è da sperare che esso susciti reazioni e provochi dibattiti mossi dalla volontà di confermarlo o emendarlo. Di sicuro però, questo piccolo volume contribuisce a sferzare un altro duro colpo alla politica intesa come decisione sovrana, in favore dell’insistenza sul suo aspetto procedurale inerente la costruzione di norme.

 

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