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n. 2 / gennaio 2013

Tondelli e il viaggio della generazione degli anni settanta

 

Mario De Tullio
Dipartimento di Scienze Biologiche
Università degli Studi di Bari Aldo Moro

 

Nel corso di una visita prenatalizia ad una libreria del centro cittadino (appartenente ad una catena che, nata con intenti di diffusione della cultura, si è gradualmente trasformata nel tempio del consumo inconsapevole di oggetti culturali e paracul-turali) ho scoperto che le opere di Pier Vittorio Tondelli erano disposte su un banco contrassegnato dall'indicazione “letteratura queer”. Non metto in discussione la scelta in sé, che evidentemente risponde a superiori esigenze di marketing, ma sorge spontanea la considerazione che tale collocazione rischia di confinare ingenerosamente in un ambito ristretto l'autore che forse meglio di chiunque altro è riuscito a raccontare la generazione inquieta ed un po' maudit che fu protagonista della seconda metà degli anni settanta e di cui oggi poco si conosce (e magari ancor meno si vuol conoscere, nel quadro di un attento lavoro di rimozione e normalizzazione multipartisan). I due racconti intitolati Viaggio e Autobahn, pubblicati nel 1980 all'interno della raccolta “Altri libertini” (Feltrinelli), risultano particolarmente efficaci e rappresentativi di un'epoca e di un percorso di formazione e verranno qui trattati con maggiore attenzione, ma, anche allo scopo di inserire questi racconti nel contesto culturale di quegli anni, non potranno mancare accenni a rappresentazioni più o meno coeve del viaggio in forma letteraria, musicale o cinematografica.

Non c'è bisogno di ricorrere a Propp per affermare l'ovvietà che la narrazione del viaggio come metafora di un percorso di ricerca ha origini antiche. In epoche successive il racconto di viaggio diventa un vero e proprio genere letterario ed è alla base del meccanismo narrativo del Bildungsroman, il romanzo di formazione che ha probabilmente raggiunto il suo apice con il goethiano Wilhelm Meisters Lehrjahre (Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister). La citazione di Goethe non deve apparire peregrina nel contesto degli anni '70, in quanto proprio tra il 1974 ed il 1975 Peter Handke pubblica il suo Falsche Bewegung, fedele trasposizione del Meister in chiave moderna, e dal fruttuoso sodalizio tra Handke e Wim Wenders nasce l'omonimo film (in italiano Falso movimento), secondo episodio della wendersiana “trilogia del movimento”, che insieme ad Alice in den Städten (Alice nelle città, 1973) ed allo straordinario Im Lauf der Zeit (Nel corso del tempo, 1975) ha lasciato un segno indelebile nella cinematografia di quegli anni, e non solo.

La letteratura/filmografia di viaggio giovanile dei decenni precedenti (il Kerouac di On the road ed Easy rider  di Dennis Hopper, giusto per citare un paio di esempi) aveva esercitato un'innegabile influenza sulla generazione degli anni settanta, contribuendo a costruire il mito dell'andare, della ricerca di nuove esperienze. E' opportuno però sottolineare come l'ampia categoria del viaggio contenga in sé caratteri diversi e persino antitetici, e come negli anni in questione tali contrasti fossero particolarmente marcati ed estremizzati. Da un lato, il viaggio veniva visto come fuga dalla realtà e disimpegno, dall'altro era il modo per raggiungere indipendenza e consapevolezza. I viaggi in India alla ricerca di una nuova spiritualità (pratica iniziata dai Beatles, con grande risonanza mediatica e successiva emulazione) appartenevano evidentemente alla prima tipologia. In Italia fu forse Claudio Rocchi il principale “esponente” di questa tendenza, ed il titolo del suo primo album pubblicato nel 1970 (ovviamente Viaggio) non lascia dubbi. Naturalmente ci fu un gran stracciarsi di vesti contro questa vera o presunta fuga dalla realtà. Anche i personaggi/viaggiatori raccontati da Wenders in Im Lauf furono visti da certa critica più o meno militante come fuggitivi. Un bellissimo articolo di Enzo Ungari (pubblicato nel Giugno 1977 da GONG, rivista che si presentava come “Mensile di musica e cultura progressiva”) mette a confronto le posizioni di due ipotetici appassionati di cinema dalle visioni contrapposte: il giovane europeo Aguirre Vogler (sic), il cui nome già gronda “Nuovo Cinema Tedesco”, ed il suo contraltare sudamericano e rigidamente marxista Caetano Nordeste. Quest'ultimo trova inconcludente ed inutile il percorso interiore dei due protagonisti del road movie di Wenders e considera il film un'operazione formalista e reazionaria (“un Easy Rider truccato qua e là da Antonioni”). Viceversa, Aguirre si riconosce appieno nella poetica wendersiana, in una nuova visione che “mi emoziona e mi coinvolge profondamente, lasciandomi lucido”.

Immagine 1. I protagonisti/viaggiatori di Im Lauf der Zeit

E' più o meno in questi anni ed in questo clima culturale che il ventenne Tondelli (nato nel 1955 e prematuramente scomparso nel 1991) comincia ad elaborare la sua scrittura. Scrittura nuova e diversa, specchio di una nuova generazione per cui il viaggio assume il valore di tema fondante. Secondo Palandri (altro scrittore che mosse i suoi primi passi nei tardi anni settanta) “Proprio il partire è il filo conduttore che attraversa tutta la sua opera [...] Un partire in cui il destino dei personaggi si apre all'avventura, lontano dalla storia, contrapposto a un ritorno che è invece caratterizzato dalla cupezza di un mondo immobile, alle cui regole secolari non ci si può che piegare, passivamente, senza riuscire ad esserci” (Pier. Tondelli e la generazione, Laterza 2005, p. 7).

Il Viaggio dell'omonimo racconto di Tondelli comincia in forma quasi cinematografica: il protagonista (quanto ci sia eventualmente di autobiografico in questo personaggio è del tutto irrilevante) ripercorre in forma di flashback durante una corsa notturna in macchina lungo la via Emilia il suo personale viaggio di esperienze compiute a partire dal 1974, quando, insieme all'amico Gigi, parte dopo l'esame di maturità alla volta di Bruxelles prima ed Amsterdam poi. “Scopriamo tutt'insieme la birra, il sesso, les trous”. Naturalmente non può mancare la musica, che ha avuto per quella generazione valore identitario: “...prendo la chitarra e gli canto tutt'intero il pezzo di Robert Wyatt che è Sea Song e allora mi faceva letteralmente impazzire, a diciottanni“. L'io narrante procede anche nella sua educazione sentimentale, scopre e vive con naturalezza la propria omosessualità e l'amore per un ragazzo conosciuto al Vondelpark di Amsterdam, con cui condivide poi il viaggio in autostop (sinonimo, all'epoca, di libertà e di avventura e simbolicamente rappresentato nella copertina della prima edizione di Altri libertini) per tornare in Italia.

Immagine 2. La copertina di Altri libertini con gli autostoppisti

Il protagonista continua il suo percorso iscrivendosi all'Università (il DAMS di Bologna). Comincia, per il lettore di oggi, un ulteriore livello di viaggio, forse il più interessante: il viaggio in un tempo rimosso e calpestato, in cui è cresciuta una generazione che è stata espulsa dalla storia ufficiale, mentre l'intero periodo dei tardi anni settanta, caratterizzato da un ingente patrimonio di esperienze, creatività e vita culturale, è stato a posteriori derubricato ad epoca dominata dal terrorismo e dal conflitto tra “opposti estremismi”, come si diceva allora. Afferma Palandri: “Alla fine ci siamo ritrovati in ginocchio, ammutoliti e incapaci di dire più nulla di fronte al compromesso storico, il patto di generazione che si oppose al terrorismo, certo, ma anche a tutta la contestazione, alla ricchezza di scoperte e invenzioni personali e di tanti gruppi che allora venivano percepiti come contigui alle Brigate Rosse. Tanti non conformisti che una rapida irregimentazione ha sgominato, disperdendo eretici solitari lì dove c'erano iniziative, pensiero, dissenso. Il compromesso storico fu alla fine opposizione a una generazione che parlava di politica.” (Palandri, op. cit. p. 12)

Immagine 3. Murale satirico che rappresenta il “Governo delle astensioni” con cui il Partito Comunista Italiano inaugurò la stagione del “compromesso storico”. Tratta da “1977 l'anno in cui il futuro incominciò” a cura di Franco Berardi (Bifo) e Veronica Bridi. Fandango Libri, 2002

Anche il ragazzo emiliano che si racconta in Viaggio, così apparentemente ripiegato sulle sue emozioni e sulla ricerca di una felicità privata, pur non parlando mai direttamente di politica in senso stretto, la politica la incrocia spesso (attraverso gli immigrati in Belgio, o i gruppi di teatro di strada che vanno a fare animazione nei quartieri disagiati delle metropoli). Poi, nell'autunno del '76 “...tutto si mette in moto come una corrente sotterranea che butta i germogli, un germinal anticipato che ci getta in collettivi e riunioni e si vede che nelle osterie c'è qualcosa di nuovo, forse soltanto più voglia, ma non so bene di cosa”. Si attraversano anche eventi resi noti dalla cronaca (la contestazione alla prima della Scala a Milano, nel Dicembre dello stesso anno, ed i conseguenti scontri con la polizia, gli arresti, le perquisizioni), mentre un velo di silenzio avvolge il Marzo '77 a Bologna, trascorso dal protagonista in una profonda crisi esistenziale dopo il suicidio dell'amico francese Michel e un doloroso distacco dal suo grande amore Dilo. Segue un trasferimento a Milano, dove il narratore lavora in una scuola elementare facendo le “carte di Propp” ed altre attività per i bambini, finché non viene costretto a lasciare la scuola perché omosessuale. Poi c'è ancora un ritorno nella sua cittadina di provincia, un viaggio a Londra con gli amici dell'adolescenza, un nuovo periodo buio con un “giro di buchi” a Reggio (“e arrivo a farne tre-quattro-cinque-sei-sette al giorno anche se non so più bene cosa sia il giorno e cosa la notte e dormire e star sveglio e così passo tutte le ventiquattrore in piazza fin quando mi danno il foglio di via e torno a Bologna...”), con le droghe pesanti che sono ancora un'altra forma di viaggio, così come il “bislacco tentativo di suicidio perché ad ammazzarmi non ce la faccio ma tentare sì e allora passerò un poco di tempo in clinica e almeno avrò da dormire e mi faranno tanto valium che mi piacerà”. Il racconto, dopo il fugace incontro con Karla e l'addio definitivo a Dilo, si chiude con un inquieto ritorno in provincia, dove “Sulla mia terra, semplicemente ciò che sono mi aiuterà a vivere” (frase che ricorda molto il Pavesiano “Per male che vada mi conoscete. Per male che vada lasciatemi vivere” de La luna e i falò).

Viaggio descrive con una inusuale profondità il sentire di un ragazzo degli anni settanta, al di là delle situazioni estreme che egli incontra lungo il suo percorso. Forse non furono anni sereni e spensierati, ma furono anni densi e contenevano la potenzialità di un futuro che fu stroncato sul nascere. La descrizione più ispirata di quella generazione e di quegli anni è invece contenuta in Autobahn, racconto di chiusura della raccolta Altri libertini. In Autobahn il viaggio è assoluto protagonista di un racconto onirico e allucinato che ricorda l'immediatezza visiva delle tavole di Andrea Pazienza, che con i suoi fumetti costituisce un altro aspetto indispensabile per la comprensione di ciò che accadeva nell'Italia dei tardi anni settanta. L'incontro del narratore di Autobahn con uno sgangherato cineasta in una stazione di servizio sull'autostrada porta ad enunciare un elenco di figure che sembrano sfilarci davanti in una parata che oggi appare davvero un inno: “Ma il cineocchio mio amerà, oooohhh se amerà la fauna di questi scassati e tribolati anni miei, certo che l'amerà. L'occhiocaldo mio s'innamorerà di tutti, dei freak e dei beatnik e degli hippy, delle lesbiche e dei sadomaso, degli autonomi, dei cani sciolti, dei froci, delle superchecche e dei filosofi, dei pubblicitari ed eroinomani e poi marchette trojette ruffiani e spacciatori, precari assistenti e supplenti, suicidi anco ed eterosessuali, cantautori et beoni, imbriachi sballati scannati bucati e forati. E femministe, autocoscienti, nuova psichiatria, antipsichiatria, mito e astrologia, istintivi della morte e della conoscenza, psicoanalisi e semiotica, lacaniani junghiani e profondi. Eppoi tutti quanti gli adepti di Krishna, di Geova, del Guru, del Brahamino, dello Yogi. Indi ogni discendenza, bambini di Dio, figli di Dioniso Zagreo, nipotini di Marx, illegittimi di Nietzsche, pronipoti del Marchese, figlioletti delle stelle, sorelline di Lilith luna nera e fratellini di prometeo incatenato, anche bastardini di Frankenstein, abortini di Caligari, goccioline di Nosferatu. E ancora tutti quanti i transessuali, i perversi, i differanti, i situazionali, gli edipici, i pre-edipici e i fissati, i masturbatori e i segaioli, i corporali, i biologici, i macrobiotici, gli integrali, gli apocalittici, i funamboli, gli animatori, i creativi, i performativi, i federativi, i lettristi, i brigatisti, i seminaristi, i fiancheggiatori, i mimi e gli istrioni, i funerei, i piagnoni, i mortiferi e i bestemmiatori, i blasfemi, i boccaloni, i grafomani e gli esibizionisti e i masochisti e tutta quanta quell'altra razza di giovani Holden e giovani Törless, giovani Werther e giovani Ortis, giovani Heloise e giovani Cresside, giovani Tristani, giovani Isotte, giovani Narcisi e Boccadori, giovani Cloridani e Medori, giovani Euriali e giovani Nisi, Romei e Giuliette. Eppoi nuovi trimalcioni, e nuovi Hidalgo, autori da giovani da cuccioli e da scimmiotti, oppiomani, morfinomani, spinellatori, travoltini, trasversali, macondisti, marginali, baleromani, jazzisti e reggomani, depressi, angosciati, nostalgici, dipendenti, studenti e figli. Nonché stupratori viziosi e incannatori. E questi caromio, saranno i personaggi e le figure del nuovo cinema mio, il Rail Cinema, il drunk, very-drunk, cinema, ok?”

Chi ha vissuto quel periodo riconoscerà in queste righe una marea di riferimenti ai temi caldi, ai film, ai libri, alle musiche di quegli anni. Ma il viaggio continua, ed ha portato Tondelli a vivere il successivo decennio con piena adesione, convinto che “la vitalità delle nuove mode, del gusto dell'effimero, come si diceva allora, spostava il discorso su un altro piano.” (Palandri, op. cit. p. 10), verso nuovi spostamenti, nuovi viaggi e movimenti veri o falsi, giusti o sbagliati. Come nella conclusione di Autobahn: “Col naso in aria fiutate il vento, strapazzate le nubi all'orizzonte, forza, è ora di partire, forza tutti insieme incontro all'avventuraaaaa!”.

 

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