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n. 2 / gennaio 2013

Viaggiatore o turista?
L'Occidente, il sesso e il potere nell'era del turismo di massa

 

Giuseppe Cascione
Professore di Filosofia Politica
Università degli Studi di Bari Aldo Moro


 

Adoravo i cataloghi delle agenzie di viaggio, la loro astrazione, il loro modo di ridurre i luoghi del mondo a una circoscritta sequenza di possibili soddisfazioni e di tariffe; in special modo apprezzavo il sistema di classificazione tramite stelle per indicare i diversi gradi di felicità cui si poteva aspirare. Io non ero felice, però apprezzavo la felicità, e continuavo ad aspirarvi.
[Michel Houellebecq, Piattaforma. Al centro del mondo, Bompiani, Milano p.17]

 

Scrivere del viaggio in Houellebecq equivale a scrivere dei rapporti tra uomini e donne. O tra maschi e femmine, se vogliamo più francamente affrontare il tema dal suo versante sessuale e non sentimentale. Anzi, per meglio dire, non più sentimentale. Sì, perché, according Houellebecq, l'amore ai tempi della postmodernità è semplicemente impossibile.
Il lungo tragitto di H. verso questa amara conclusione, comincia già dal suo libro d'esordio, quel suo  Estensione del dominio della lotta, nel quale ipotizza che l'inizio della fine della società occidentale comincia nell'esatto momento in cui il conflitto, che caratterizza storicamente la relazione tra culture, popoli, nazioni, gruppi di persone insomma, si trasferisce sul terreno dei rapporti tra persone singole, tra individui intesi come singolarità. L'unico principio di organizzazione di questa lotta è l'inespungibile appartenenza di genere: maschi, dunque, versus femmine. Così muore l'amore, cioè si suicida, a tutto vantaggio di un atteggiamento “maturo” verso la relazione tra generi, cioè il sesso. Anzi, per meglio dire, del sesso inteso non più come juissance, ma come performance sessuale. Che, poi, non è altro che la razionalizzazione di una razionalizzazione, cioè un'iper-razionalizzazione di un fatto ingenuamente inteso come naturale.

Perché il viaggio? E che tipo di viaggio? E verso dove? E che c'entra questo con il sesso?
Ma come, non conoscete quel fenomeno perverso del rapporto di potere tra Occidente e Altro esotico che si ricomprende nella categoria turismo sessuale? Proprio di questo viaggio H. parla in un suo libro, Piattaforma al centro del mondo. E ne parla da par suo, cioè ribaltando totalmente le categorie del politically correct contro sé stesse. A tal punto da par suo, che chi scrive dichiara da subito di rinunciare a qualsiasi velleità di parlare di H. Piuttosto preferirei far parlare H., limitandomi a chiosare stralci di racconto, che descrivono sé stessi molto meglio di come potrebbe farlo chiunque altro, me compreso. Vedrete che la scrittura rapsodica, per una volta, raggiungerà lo scopo molto più efficacemente di qualsiasi costruzione saggistica.

 

Viaggiatori o turisti?

I miei sogni sono mediocri. Come tutti gli abitanti dell'Europa occidentale, vorrei viaggiare. Ma viaggiare comporta svariate difficoltà: c'è la barriera linguistica, c'è la cattiva organizzazione dei trasporti collettivi, ci sono i rischi di furto o di truffa - e allora diciamo le cose come stanno: quello che veramente vorrei, è fare turismo. [M.H., Piattaforma, p.28]

C'è il viaggiatore ed il turista. Il primo scopre il mondo con un atteggiamento positivo, decide di muoversi verso l'altro. Il secondo va verso il mondo negativamente, cioè, in primis, fuggendo da se stesso. Il primo si apre all'altro, mantiene quell'atteggiamento di scoperta di cose e persone e abitudini di vita nuovi che motivano il viaggio. Il secondo diffida dell'altro, non accetta la propria messa in questione e fa prevalere un atteggiamento di chiusura verso tutto ciò che di nuovo e diverso gli si prospetta.


Per H. Il viaggiatore occidentale è una specie in via di estinzione, se non di fatto già estinta. L'unico superstite della gloriosa tradizione di mobilità occidentale è rimasto il turista, non foss'altro perché si muove, parte. Parte, ma cerca posti in cui ritrova tutto ciò che si è lasciato dietro: la propria cucina, il proprio modo di organizzare gli spazi, la propria lingua, la propria moneta. In una parola il proprio mondo. È come andare in vacanza nella stanza accanto. Molto rassicurante.
Dunque il viaggio è fuori discussione. Ma c'è turista e turista. Mettiamo che ci sia un turista occidentale disincantato, cinico, amorale, che parte anch'egli per un motivo negativo, mettiamo perché vuole scoprire se esistono ancora possibilità di relazione tra persone di tipo diverso rispetto al conflitto permanente quotidiano. È evidente che costui non sceglierà il mondo ovattato dei viaggi organizzati, ma si orienterà verso qualcosa che gli faccia conoscere un modo diverso di porsi in contatto con la realtà esotica. Saranno utili le guide per costoro? Quelle guide che ti dicono cosa visitare, per quanto tempo, cosa mangiare, come muoverti cosa fotografare...

Pur asserendo di voler preparare il lettore a un bel viaggio in Thailandia, in realtà la Guide du Routard cominciava fin dalla prefazione a tranciare giudizi, per esempio sentendosi in obbligo di definire abietta schiavitù il turismo sessuale. Il che confermava ancora una volta il fatto che i redattori di quella guida fossero delle zitelle acide il cui unico obiettivo era quello di rovinare la vacanza ai turisti gente che fingevano di amare ma che in realtà odiavano. [M.H., Piattaforma, p.47]

 

Il turismo sessuale

Prima di storcere la bocca, ricordatevi da dove siamo partiti: il sesso inteso come performance è la cifra delle relazioni tra maschi e femmine; H. ha sempre un atteggiamento politicamente scorretto nel suo approccio verso la tematica; il turista houellebecquiano non è un turista di massa; l'approccio è sempre negativo, cioè uno scappare da; l'esotismo, cioè lo stereotipo dell'altro in chiave turistica, mi consente quel minimo di sguardo dall'esterno che le grandi catene del divertimento turistico mi negherebbero. Si chiama avventura. Proprio come una relazione di una notte, in un motel.

"Lo so, dirai che sono fissata, comunque ho chiesto a quella tedesca cos'abbiano in più i neri rispetto ai bianchi. È proprio vero: le donne bianche preferiscono andare a letto con gli africani, gli uomini bianchi con le asiatiche. Per me è molto importante sapere come mai, mi serve per il mio lavoro."
"Be', ci sono anche dei bianchi cui piacciono le negre..." obiettai.
"Lo so, però è più raro; il turismo sessuale è molto più diffuso in Asia che in Africa. Anzi, a dire il vero è così per il turismo in generale."
"E la tedesca che ti ha risposto?"
"Le solite cose: che i negri sono disinvolti, virili, allegri; che si sanno divertire senza superare i limiti, e non creano mai problemi." [M.H., Piattaforma, p.193]

Il primo stereotipo che H. tende a smontare è quello del carattere maschile della trasgressione turistica sessuale. Sempre più donne praticano l'esotismo al solo scopo di sfruttamento sessuale. Anzi, probabilmente, l'immaginario femminile in questo campo è più ristretto che quello maschile, secondo H.

In fondo l'omologazione che abbiamo cacciato dalla porta, ritorna dalla finestra, ma in una forma molto più astratta, universalistica. Come il turismo di massa produce un'esperienza di omologazione universale, alla luce della quale - ed in ossequio alla triviale ed indifferenziata retorica della globalizzazione - il buon turista si arroga il diritto di poter conoscere un mondo in dieci giorni (quando non in un week-end), così il perverso gioco dei desideri interrazziali produce un individuo sostanzialmente indifferenziato, deculturato. In altri luoghi, in particolare ne La possibilità di un'isola, H. descrive la progressiva desessualizzazione come indifferenziazione degli esseri umani, ciò che porta all'atrofia dell'individuo come essere desiderante.
Ma c'è anche un'altra ragione, secondo H., che spinge gli occidentali al turismo sessuale.

Se gli occidentali non riescono più ad andare a letto fra loro, una ragione dev'esserci per forza; ma non ha nessuna importanza che sia il narcisismo, o il culto dell'individualità, o quello della prestazione, o chissà quale altra fesseria. Quello che importa è che, a partire dai venticinque-trent'anni, la gente ha enormi difficoltà a fare nuovi incontri sessuali; e tuttavia continua a sentirne il bisogno, un bisogno che peraltro diminuisce molto lentamente, e molto tardi. E così, per trent'anni della loro vita, cioè per la quasi totalità dell'età adulta, vivono in un costante stato di carenza. [M.H., Piattaforma, p.198]

Gli occidentali a causa della progressiva razionalizzazione della propria vita da un lato, e della crescente conflittualità nei rapporti tra i generi dall'altro, non riescono più ad affrontare il proprio erotismo in modo ingenuo. Questa estrema complicazione della sfera forse più importante della propria psiche spinge le persone verso una dimensione di sterilità spirituale, nella quale domina quel sentimento così ben descritto nell'Estensione, cioè l'amarezza.

 

Occidente e decadenza

La letteratura di viaggio e l'esotismo come critica all'Occidente. Il mito del buon selvaggio come costruzione di uno stereotipo che ci consente di guardare noi stessi dal di fuori. È il prezzo da pagare per poter credibilmente esercitare una critica, che altrimenti sarebbe un esercizio formale ed un tantino ipocrita. Comunque destituito di qualsiasi credibilità.

 

A questo proposito, l'analisi di H. è molto chiara.

"Dunque," ripresi, "da un lato abbiamo centinaia di milioni di occidentali che hanno tutto quello che vogliono ma non riescono a trovare soddisfazione sessuale: cercano, cercano in continuazione, ma non trovano nulla, e questo li rende profondamente infelici. Dall'altro lato abbiamo svariati miliardi di persone che, invece, non hanno letteralmente niente, crepano di fame, muoiono giovani, vivono in condizioni malsane, e non hanno più niente da vendere a parte il proprio corpo e la propria sessualità intatta. E una situazione di scambio ideale, non ci vuole molto a capirlo." [M.H., Piattaforma, p.200]

Perché non si creda che H. consideri il turismo un fatto positivo, egli introduce qui l'aspetto della disillusione. Quello che potrebbe sembrare un rapporto basato sull'aspirazione di autenticità nel rapporto con il buon selvaggio, un tentativo disperato di ritrovare la perduta innocenza, si trasforma nell'incubo peggiore che possiamo immaginare, ovvero uno sfruttamento sessuale basato sull'asimmetria nelle condizioni di vita tra i soggetti coinvolti, cioè in un rapporto di puro potere. La relazione d'amore, sostituita con il sessantotto dalla scoperta del sesso, con gli anniottanta dalla necessità di performance sessuale, è qui declassata a rapporto di puro potere economico, a luogo simbolico dell'affermazione della superiorità occidentale sul resto del mondo.


Il background su cui si innesta facilmente la tematica dello sfruttamento sessuale è la chiara consapevolezza che il mondo che abbiamo saputo costruire in occidente è un mondo invivibile per gli uomini, un mondo che pretende l'inaridimento totale di qualsiasi residuo emozionale che non sia razionalizzabile. In primis dell'amore, inteso come volontà di annullamento nell'altro del medesimo.

Una cosa che gli occidentali non sanno più fare: offrire il proprio corpo come qualcosa di gradevole, dare piacere senza pretendere nulla in cambio. Hanno perduto completamente il senso del dono. Per quanto si affannino, non riescono più a sentire il sesso come qualcosa di naturale. Si vergognano del proprio corpo perché non lo vedono all'altezza degli standard della pubblicità e del cinema, e per le stesse ragioni non si sentono più attratti dal corpo dell'altro. È impossibile fare l'amore senza un certo abbandono, senza l'accettazione quantomeno temporanea di una condizione di dipendenza e di soggezione. Esaltazione sentimentale e ossessione sessuale hanno un'origine comune, derivano entrambe da un parziale oblio del proprio ego; è un campo nel quale è difficile realizzarsi senza perdersi. Invece noi siamo diventati freddi, razionali, estremamente consapevoli della nostra esistenza individuale e dei nostri diritti; per prima cosa vogliamo evitare qualsiasi forma di alienazione e dipendenza; poi siamo assillati dalla salute e dall'igiene: è chiaro che queste non sono certo le condizioni ideali per fare l'amore. [M.H., Piattaforma, p.201]

Purtroppo questa condizione, hic stantibus rebus, risulta, per H. del tutto insuperabile. Questo perché l'Occidente capitalistico è un pacchetto - esattamente come i viaggi organizzati - in cui difficilmente puoi prendere solo quello che vuoi: o tutto o niente. Perché "il capitalismo è per sua stessa natura uno stato di guerra permanente, una lotta perenne che non può mai avere fine."

La corruzione dei rapporti tra le persone che è la cifra della socialità occidentale in H., è come un virus. Nel rapporto sessuale del/della turista occidentale con il nativo non viene trasmesso solo il rischio del contagio di malattie sessualmente trasmissibili. Il virus della triste cultura capitalistica occidentale è, per H., un virus letale come l'AIDS. Il rischio è far morire le altre culture del nostro stesso male, l'amarezza.

Rimarrò fino all'ultimo un figlio dell'Europa, dell'ansia e della vergogna; non ho alcun messaggio di speranza da comunicare. Per l'Occidente non nutro odio, tutt'al più un immenso disprezzo. So soltanto che, dal primo all'ultimo, noi occidentali puzziamo di egoismo, di masochismo e di morte. Abbiamo creato un sistema in cui è diventato semplicemente impossibile vivere; e, come se non bastasse, continuiamo a esportarlo. [M.H., Piattaforma, p.294]

 

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