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n. 4 / gennaio 2014

Dalla visione alla vista.
Elementi e pratiche del potere in
House of Cards

 


Tito Vagni
Libera Università di Lingue e Comunicazione - I.U.L.M. Milano

 

Lo sguardo inteso a garantirsi manca dell'abbandono sognante alla lontananza.
(Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire)

Tutto quanto è bello e nobile è il risultato della ragione e del calcolo.
(Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna)

House of cards è l'immagine tattile di quello che Georg Simmel definiva “la progressiva trasformazione di tutte le componenti della vita in mezzi”, ciò significa che “gli elementi dell'azione che possono essere rappresentati divengono, oggettivamente e soggettivamente, legami calcolabili e razionali ed eliminano quindi sempre più ogni influenza dei sentimenti e ogni decisione di carattere emotivo dato che queste si connettono soltanto alle cesure del corso della vita, ai fini ultimi presenti all'interno di esso” (1984, p. 610).

In questo genere di relazione i caratteri degli agenti si dissolvono, smettono di produrre valore e significato, in virtù di un legame esclusivo stretto con il fine. Le relazioni emotive lasciano spazio a una geografia sociale che prescinde dai volti, dalle storie, dai vissuti, tenendo conto, invece, delle posizioni e dei ruoli ricoperti nel momento. L'orizzonte dell'agente è popolato da stereotipi che hanno sostituito le soggettività; ogni implicazione sentimentale viene meno, sebbene all'apparenza i rapporti siano coltivati in maniera scrupolosa. Più le relazioni raggiungono un alto livello di definizione, maggiore è il loro grado di utilità. L'intensità di un rapporto interpersonale non indica quindi un coinvolgimento emotivo in profondità, ma una connessione funzionale al raggiungimento di un obiettivo temporaneo e circoscritto. A tal fine, la messinscena permanente che House of Cards svela è il sintomo di un costante lavorio per il raggiungimento del proprio obiettivo, che passa attraverso la costruzione di un'immagine pubblica da apporre sulla pelle dell'io interiore e privato. La formula mentale del calcolo e dell'utilità introiettata dalle élite politiche rappresentate nella serie è talmente penetrante che gli unici momenti di possibile affioramento dell'intimità sono simbolicamente ambientati dalla sceneggiatura in uno scantinato – impenetrabile e oscuro come l'interiorità del protagonista – in cui il corpo di Frank Underwood non trova tregua, sempre indaffarato in esercizi ginnici, utili anch'essi a modellarne l'immagine. Nel momento in cui l'intimità, nuda e irraggiungibile, messa al sicuro dallo sguardo dell'altro, potrebbe affiorare in piena sicurezza, l'io moderno esprime tutta la sua razionale coerenza con l'obiettivo prefissato e la simbiosi con esso. L'io non si limita a trattare con neutralità uomini e cose (Simmel 2005), esso arriva fino all'autoneutralizzazione, giunge ad essere tutt'uno con i suoi interessi.

Già Erving Goffman, descrivendo la rappresentazione quotidiana come “tutta quell’attività di un individuo che si svolge durante un periodo caratterizzato da una sua continua presenza dinanzi a un particolare gruppo di osservatori e tale da avere una certa influenza su di essi” (1959, p. 33), aveva posto l'accento su una modalità di agire strumentale allo scopo e attenta alle regole peculiari da seguire in ogni interazione. In questa serie televisiva, invece, la distinzione tra comportamento da ribalta e da retroscena e, quindi, tra persona e attore, sembra perdere di significato. La maschera si è incollata all'organismo e lo ha mutato definitivamente. Le interazioni con l'altro generalizzato continuano ad essere molteplici e differenziate, ma sono venuti meno i momenti di rinvenimento. Non vi è più la possibilità di distinguere tra spontaneo e artefatto, tra buona fede e mala fede, tra naturale e costruito. La vita, piuttosto, transita attraverso stadi successivi dell'io tenuti insieme dalla propria integrità fisica e dall'obiettivo originario. L'evoluzione rapsodica e non lineare delle vicende narrate non mette in crisi la fedeltà del protagonista al proprio obiettivo – ormai divenuti un unicum inscindibile – essa costringe il protagonista ad eludere le procedure codificate che nel lungo periodo potrebbero condurlo al traguardo, per seguire il flusso imprevedibile delle circostanze con l'obiettivo di trovare delle scorciatoie e rendere il percorso più rapido ed eccitante. La discontinuità è divenuta una modalità autonoma dell'essere che poggia sull'attenzione a tutto ciò che avviene nell'orizzonte prossimo alla vista, essa assume dunque una potenza costituente. Come scrive Michel Maffesoli, “l'avvenimento fa intrusione. Esso forza e violenta. Ne deriva l'aspetto brutale, inatteso e sempre sorprendente che costantemente lo accompagna” (2003, p. 27). Pertanto, l'attenzione diviene la modalità a cui l'uomo moderno è costretto dall'intensificazione degli stimoli esterni, dalla complessificazione dell'esperienza a cui la metropoli prima e i media elettronici poi lo costringono. Le nuove tecnologie della comunicazione, con la loro istantaneità, hanno anche l'effetto di accelerare tale processo perché lo esteriorizzano rispetto alla mente dell'agente, impedendo al soggetto di distrarsi attraverso continui impulsi alla propria attenzione. La comunicazione mobile e il web sono tecnologie che in ogni momento evocano l'attualità e dunque l'urgenza di realizzare i propri fini, pertanto imprimono una inedita accelerazione agli eventi, rendendoli ancora più violenti e feroci.

La postura con la quale Frank Underwood si muove all'interno della sfera del potere non è quindi una modalità inedita, essa ha origini antiche e si presenta come riconfigurazione di uno stile di vita preciso nato nella metropoli moderna. Come in passato, esso è legata all'applicazione di una rigida norma di comportamento, quella che Walter Benjamin chiamava “presenza di spirito”. Una modalità che è allo stesso tempo innata e allenata. Lo si può comprendere attraverso l'analisi che lo studioso tedesco compie del giocatore d'azzardo.

“Essa si basa sulla proprietà del gioco d'azzardo di provocare la presenza di spirito, determinando in rapida successione delle costellazioni che – ciascuna in modo del tutto indipendente dall'altra – fanno appello a una reazione totalmente nuova e originale del giocatore. Questa circostanza si riflette nell'abitudine del giocatore di puntare, per quanto è possibile, solo all'ultimo momento. Tale momento è l'istante in cui non c'è spazio che per un puro comportamento riflesso. Questo comportamento riflesso del giocatore esclude l'interpretazione del caso. Il giocatore piuttosto reagisce al caso per riflesso patellare, come il ginocchio al martello” (2002, p. 574).

Il comportamento riflesso di cui parla Benjamin è la capacità unica di cogliere il momento. Ciò si pone come l'elemento distintivo tra il giocatore fortunato e quello normale. La sorte è ciò che fa la differenza. Essa però non è completamente bendata, tende piuttosto a corrispondere chi, attraverso una serie di accortezze, se ne mette alla ricerca. Quella del giocatore non è dunque una “capacità di reazione” in senso stretto – ciò presupporrebbe l'avvenimento, che invece, nel gioco d'azzardo, è solo preconizzato dal giocatore esperto e, in quanto tale, anticipato. Si tratta piuttosto di una evenienza contemplata nella sua potenzialità, ma ancora empiricamente latente. Il politico moderno, come il giocatore d'azzardo, compie una serie innumerevole di scommesse cercando di attrarre a sé la sorte attraverso la presenza di spirito e l'accumulo di esperienza. Nel lungo periodo, la tirannide del tempo condurrà il giocatore alla catastrofe, inevitabile destino di chi non trova sollievo nella vittoria, ma nella possibilità di reiterare la giocata. Il gioco produce solamente altro gioco, al pari del potere fine a se stesso che viene esercitato solamente con l'obiettivo della sua preservazione, fonte di ebbrezza impareggiabile per Frank Underwood.


La coerenza come pericolo

La natura seriale della narrazione non mostra l'evoluzione caratteriale del personaggio – come lo spettatore è abituato a vedere nelle serie televisive americane dell'ultimo decennio – piuttosto è utile a testarne la capacità di reazione di fronte ad una concatenazione di avvenimenti che lo coinvolgono. L'evoluzione della storia non è dunque un viaggio introspettivo del soggetto modificato dalle circostanze(1) del quotidiano. Tra la prima e l'ultima puntata, Frank Underwood non mostra alterazioni della personalità o slittamenti dell'io dovuti ai successi o alle sconfitte delle sue azioni politiche. Quello che mette in gioco è una serie di piccoli aggiustamenti, di miglioramenti tattici all'interno di una strategia che ne orienta in tutto e per tutto i comportamenti. Il suo carattere pertanto appare coincidere integralmente con il suo fine. È questa la ragione per la quale, nel finale della prima stagione e nell'incipit della seconda, il protagonista esaspera il suo comportamento cinico portandolo fino alle più estreme conseguenze, ovvero all'omicidio. L'estrema razionalità si è capovolta in bestialità. L'uomo attraverso l'esercizio della ragione e del calcolo diventa legge di se stesso e, in virtù di questo ripiegamento egocentrico, è disposto a compiere ogni genere di efferatezza. In tale contesto, la coerenza, che l'opinione pubblica agita sovente come vessillo della buona politica, è invece espressione di cieca brutalità. Rimanendo fedele all'apriori che ne orienta il comportamento dandogli senso, Underwood commette manipolazioni e scorrettezze, finanche crimini, che si giustificano in quanto coerenti all'interno di un piano disegnato per raggiungere un fine.

L'analisi di queste pratiche di cinismo non ha in sé una connotazione morale, essa si riferisce allo stile più appropriato alle pratiche del potere. Tale dimensione è in grado di produrre un tipo identificabile attraverso un set di caratteristiche che scaturiscono dai meccanismi di funzionamento del potere politico e allo stesso tempo ne consentono la riproduzione. Di conseguenza, il cinismo viene rappresentato dalla serie come la modalità più efficace di operare all'interno della dimensione del potere semplicemente perché attraverso il suo esercizio si riescono a raggiungere delle vittorie che altrimenti sfumerebbero. Le forme dell'agire politico non si esauriscono nel cinismo, ma ogni modalità alternativa appare velleitaria e difficilmente praticabile a causa della sua opposizione ad una forza apparentemente inarrestabile. Tale tendenza, nel lungo periodo, perderà i tratti della storicità per farsi sempre più ovvia, manifestandosi come naturale. Essa è in realtà il frutto di una serie di cambiamenti avvenuti, principalmente, nella sfera economica, che trovano il loro momento archetipale nella nascita della metropoli e nella diffusione della moneta e, di conseguenza, nella forma mentale che tali mutamenti hanno comportato nell'esperienza quotidiana. Il soggetto moderno deve essere inteso come una germinazione del capitalismo in quanto risultato dell'intensificazione dei consumi, del piacere, delle mode, del denaro, che acquisiscono una centralità prima d'allora sconosciuta. Lo stile di vita metropolitano, padre putativo del cinismo contemporaneo, ha quindi una forte connotazione politica che genera, automaticamente, dei fenomeni di rigetto.

Il suo opposto è il politico che opera seguendo degli ideali. Tale soggetto, inizialmente interessato al bene comune, corre il rischio di riprodurre gli stessi eccessi del cinico per il raggiungimento del suo obiettivo. Se, infatti, è possibile sostenere con Anna Harendt che “le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica” (1999, p. 644), allora, anche in questo caso, i mezzi coincideranno con i fini, e ogni azione sarà legittimata da una coerenza tutta interna al progetto politico. Nel Novecento, la rivendicazione della politica di un potere totale sull'uomo ha sempre trovato giustificazione nella volontà di realizzare il proprio obiettivo, appiattendosi su una vera e propria logica della dominazione (Maffesoli 2012). Per non correre il rischio di essere pre-determinati dal proprio fine, la politica orientata dall'ideale deve essere in grado di appropriarsi di una buona dose di intellettualismo. Ciò la libera dai pericoli della predestinazione aprioristica e dunque la salvaguarda dalla possibilità di svilupparsi nel suo contrario. Ciò comporta che per essere efficace, ogni idea deve essere di volta in volta attualizzata e dunque sottratta alla tentazione totalitaria. L'ideale deve essere perseguito in una relazione costante con i codici comportamentali e l'immanenza del dato oggettivo. Ciò implica la natura imprescindibile del compromesso imposto dalle circostanze. Il passaggio dalla visione alla vista è l'elemento essenziale di ogni forma politica democratica, che non può non contemplare la natura cangiante della vita e la sua propensione alla rovina (Benjamin).


L'etica della trasparenza integrale

I soggetti di cui si è scritto, completamente ripiegati su loro stessi in un individualismo esasperato che sfigura l'altro adoperandolo come oggetto all'interno del proprio disegno, hanno completamente eliso la distanza tra sfera pubblica e sfera privata. Le élite hanno una vita integralmente trasparente, più che in passato, ogni comportamento è compiuto in virtù della sua esposizione pubblica, pertanto sviluppano una spiccata percezione dell'essere visti che interviene a modellare i propri comportamenti. La proliferazione delle telecamere, da quelle televisive a quelle degli smartphone, passando per quelle di sicurezza, hanno aumentato tale consapevolezza, mentre i social network sono divenuti la palestra in cui l'uomo moderno allena questa nuova condizione. Tale discorso è ancora più pertinente per le élite politiche continuamente valutate dai cittadini (si pensi alle esperienze italiane di “open camera” e più recentemente agli streaming delle riunioni di partito introdotti dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle), seguite dai giornali, dall'informazione radiotelevisiva, dai programmi d'intrattenimento e dalle cronache mondane. Per queste persone non esistono più anonimato, segretezza, intimità. Ogni piccolo gesto è potenzialmente notiziabile e dunque pubblico. In questo senso, le uniche emozioni a non perdere d'intensità per l'uomo politico sono quelle immediatamente proiettabili dall'esterno sulla propria figura e, quindi, influenti in termini di opinione pubblica. Il dolore, il dispiacere, la vergogna non sono più emozioni patibili per un comportamento che contempla gli effetti verso l'altro – mi vergogno di ciò che ho fatto – ma per la ricaduta pubblica che un gesto, un'azione o una non azione possano avere sul proprio fine.

In House of Cards la condizione di trasparenza integrale viene resa attraverso un meccanismo sottile: di tanto in tanto, la sequenza narrativa s'interrompe e il protagonista si rivolge direttamente al pubblico – tirandosi fuori, per un istante, dalla situazione fisica in cui è coinvolto – guardando in camera, prevedendo le mosse del suo interlocutore immediato e strizzando l'occhio alla platea immaginata. In tali situazioni viene esteriorizzando il meccanismo mentale delle élite che è sempre doppio: una porzione di attenzione è rivolta all'interlocutore diretto, ma la mente non perde mai la cognizione della pubblicità e quindi ogni azione, ogni gesto, ogni parola sono anche pensati per un pubblico più esteso, presente o differito. Questa duplicità è sintomo di una condizione anfibia dell'uomo politico, costretto a ponderare le sue azioni rivolte sempre a due pubblici diversi: la cerchia dei politici e la cerchia dei cittadini. Si tratta di gruppi sociali distinti che hanno codici comportamentali, morali ed estetici differenti, che il politico abile ed avveduto deve riuscire a mantenere in equilibrio. Peter Russo è la figura che rappresenta il fallimento di questo tentativo. Estremamente legato alla sua terra di elezione con la quale mantiene rapporti articolati dall'affettività, quando viene forzosamente coinvolto nei giochi di potere di Frank Underwood, la sua propensione alla sentimentalità si scontra con le regole spietate del nuovo ambiente che contempla la possibilità di danni collaterali, generando delusioni, rimpianti, litigi che mettono in difficoltà la presenza di spirito del politico. Egli non riesce a combinare la necessità di assecondare la forza cinica del potere e l'impegno con i suoi affetti che attraverso il voto lo avevano investito delle loro aspettative e delle proprie speranze. Questa tensione tra due posizioni opposte lo logora rapidamente rendendo sempre più fragile la sua già precaria esistenza. A rafforzare l'immagine di un uomo debole e non preparato alla gestione del potere, è l'accento posto dalla narrazione sui tratti caratteriali più sensibili ai piaceri dell'alcool, delle droghe, del sesso, indicatori di un uomo in preda all'ebbrezza, incapace dell'autocontrollo e quindi della lucidità necessaria a interpretare nel migliore dei modi il suo ruolo politico. Dopo essere stato usato, Peter Russo viene espulso per incompatibilità con la dimensione politica. Ma la sopravvivenza di un estraneo fuori controllo, che per un breve tempo ha conosciuto i gangli della politica, mette a repentaglio il funzionamento della macchina celibe del potere. L'espulsione coincide quindi, in maniera molto coerente, con la morte.

Sebbene le vicende narrate possano apparire come un ritorno ad un dimenticato stato di natura in cui le uniche regole sono il successo personale e la sopraffazione, House of Cards mostra come un mondo tanto efferato e privo di scrupoli sia in realtà controllato da una deontologia ineludibile, che consente di preservare l'ambiente. Ciò è reso evidente da Zoe Barnes, la giovane giornalista ricca di ideali, che evoca uno dei topoi della modernità, ovvero il giovane in formazione. In questo caso i generi dei protagonisti sono invertiti rispetto alla tradizione del bildungsroman, ma il percorso è lo stesso: l'incontro con un mentore, una passione in costante tensione tra l'amore e l'utilità e, infine, il doloroso distacco che prelude all'emancipazione e all'ingresso del giovane tra gli uomini di mondo. È proprio nel rapporto tra allievo e maestro che Underwood instaura con la giornalista – che si muove inizialmente in maniera goffa e impropria negli ambienti del potere – che vengono scoperte alcune delle regole da rispettare in questa sfera. Essere rispettosi di tale deontologia equivale ad essere considerati parte del mondo stesso. Ciò dà diritto al rispetto, alla credibilità e a tutti i privilegi di una società stretta (Leopardi). L'aspetto più significativo da rinvenire in questa storyline è lo svaporamento dei pre-concetti che inizialmente animano la cronista quando incrociano la seduzione del potere, dei suoi riti, delle sue logiche, dei suoi benefici. La giovane che proviene dal mondo della rete, simbolicamente molto distante dall'informazione tradizionale e dalla politica istituzionale, sembra portare con sé un carico di novità in grado di scardinare le consuetudini di meccanismi politici sclerotizzati e immutabili. Invece, il potere esercita su di lei un'enorme attrazione che la conduce a scendere a compromessi con il suo ideale originario, rendendola però più pericolosa, in quanto forza interna al sistema e non più marginale. La capacità di adattarsi alle circostanze, di rinegoziare continuamente le sue convinzioni, sono la sua condanna(2) perché la impongono come soggetto forte. La comprensione profonda del potere si traduce nella temibile capacità di dominare la sfera sensibile attraverso il calcolo, mettendo questa competenza a favore di un ideale mai accantonato, ma intelligentemente tenuto a distanza e controllato. Il personaggio di Zoe Barnes, più simile a molte altre figure dell'immaginario televisivo contemporaneo, e per questo più intellegibile, è però l'unico slancio ideale che la sceneggiatura concede allo spettatore. La sua morte è quindi la pietra tombale che gli autori della serie pongono sui valori e le speranze dell'umanesimo.


1) In questo senso, la serie a cui fare riferimento è Lost, in cui la trama è una successione intricata di eventi interiori ed empirici, che agisce sulle personalità dei personaggi.

2) L'omicidio della giornalista, con cui si apre la seconda stagione, appare, in realtà, un evento intempestivo che manifesta una prima caduta formale della scrittura.


Bibliografia

Abruzzese A., Il crepuscolo dei barbari, Bevivino Editore, Milano, 2012.
Agamben G., Homo sacer, Einaudi, Torino, 2005.
Balzac H., Illusioni perdute, Garzanti, Milano, 2007.
Baudelaire C., Il pittore della vita moderna, Abscondita, Milano, 2004
Benjamin W., Angelus Novus, Eiunaudi, Torino, 2006.
Benjamin W., I passages di Parigi, Einaudi, Torino, 2002.
Goffman E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1959.
Harendt A., Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano, 1999.
Leopardi G., Discorso sullo stato presente dei costumi degli italiani, Feltrinelli, Milano, 2007.
Maffesoli M., L'istante eterno, Luca Sossella Editore, Roma, 2003.
Maffesoli M., Matrimonium, Bevivino Editore, Milano, 2012.
Rafele A., La metropoli e la vita dello spirito, Liguori, Napoli, 2011.
Simmel G., Filosofia del denaro, UTET, Torino, 1984.
Simmel G., La metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma, 2005.

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