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n. 1 / 1 luglio 2012

La fotografia è una mummia…
Biografia rapsodica di Ando Gilardi

Giuseppe Cascione

 

“Le fotografie sono mummie allontanate dal fuoco dell’ottica, mummie che tengono in vita apparente il passato.” (in A. Gilardi, Meglio ladro che fotografo, Bruno Mondadori, Milano 2007)

Il 5 marzo è morto Ando Gilardi. La notizia non dovrebbe sorprendere (alla veneranda età di 91 anni), se non fosse per il fatto che molto aveva scherzato, il personaggio, sulla propria morte negli ultimi anni. Semmai avrebbe dovuto sorprendere la sua capacità di essere up-to-date nel corso dell'intero arco della sua vita. Come può un intellettuale passare dai documenti etno-antropologici sul movimento operaio a Facebook senza mai perdere il controllo sul medium che utilizza? È possibile a un comune mortale essere uno tra i primi innovatori di social network a quasi novant’anni?
Ma chi era Ando Gilardi? Sicuramente era l’unico storico della fotografia che sia mai esistito, almeno in Italia. Ma non era solo questo, ovviamente. Intanto, la sua attività di storico tracimava inevitabilmente in quella di produttore di storia sociale, fondata com’era su una gigantesca erudizione, non confinata esclusivamente alla teoria ed alla pratica fotografica. Gilardi sapeva di arti visive, ma anche di filosofia, di psicanalisi, di etno-antropologia e di letteratura ed intrecciava di continuo le sue conoscenze producendo i suoi scritti sulla fotografia.
Sarebbe del tutto impossibile descrivere sinotticamente il lascito intellettuale di Gilardi; sarebbe altrettanto complicato inseguire i fili di una vita così lunga e complessa. Ragioni per le quali più che tentare di renderne conto sotto la forma della biografia, converrà rammentare alcuni concetti la cui scoperta testimonia l’originalità straordinaria del suo pensiero.

Che cos’è la fotografia?

É d'obbligo cominciare con una definizione di Fotografia. Ma non fotografia in generale, la Fotografia nel quadro dell'anticonformismo di Gilardi. Delle molte definizioni possibili quella che a lui piaceva maggiormente era: "La Fotografia è quella cosa che consente anche a un idiota di ottenere risultati per cui prima occorreva del genio […] ma è pur quella cosa che costringe un genio a ottenere risultati per cui sarebbe sufficiente un idiota.” La struttura apparentemente contraddittoria e paradossale di questa affermazione ci illumina sull'atteggiamento positivo di Gilardi, il quale, nell'epoca della riproducibilità dell'opera d'arte, considera la produzione di massa di immagini come un potentissimo stimolo per i fotografi 'professionisti', perché da una parte si diffonde l'idea che qualsiasi foto amatore possa produrre un 'capolavoro', dall'altra, tuttavia, si diffonde la consapevolezza opposta secondo cui il dominio dei mezzi tecnici - che é ciò che rende un'opera artistica - é il risultato di un elevatissimo grado di competenza, che richiede una grande conoscenza professionale del medium.
Accanto a questa premessa, bisogna aggiungere che Gilardi sposta il focus del problema della produzione di immagini. Il foto amatore pensa di produrre immagini, cioè ha la sensazione di creare immagini, ma non é così. “ Chi fotografa si illude di produrre un’immagine quando invece la consuma.” (ibid.) Perché il consumo sostituisce la produzione? Perché il produttore casuale di immagini non possiede il controllo tecnico del mezzo che usa, per cui non é lui il produttore. Semmai, egli la consuma, poiché acquista l'attrezzatura che realmente la produce secondo criteri tecnici che egli non comprende, se non in una forma che definiremmo, con Vincenzo Susca, "tecnomagica".

Dunque, direbbe Gilardi, “Le fotografie non si fanno, ma si prendono.” Il foto amatore si comporta come se avesse scelto il campo heideggeriano del linguaggio, cioè il 'siamo parlati', piuttosto che quello wittgensteiniano, cioé ogni nostro segno linguistico contribuisce ad estendere i limiti del linguaggio.

Immagine automatica

Il contributo di Gilardi é rilevante anche sotto il profilo dello statuto delle immagini. Egli prima di tutto traccia una differenza netta tra lo statuto delle arti figurative come era configurato prima della fotografia e immagine fotografica. Tutto sta nella simultaneità del click. "La fotografia è il nome di un’immagine automatica, cioè un’immagine che si forma simultaneamente, o comunque in tempo brevissimo, in ogni suo punto. Non ha un inizio e una fine, come il disegno o la pittura.”
Posta questa fondamentale differenza tra immagini pittoriche e fotografiche, si apre un altro campo di specificazione anche all'interno della stessa fotografia. Con l'avvento del digitale si verifica una rivoluzione non solo nelle tecniche di ripresa fotografica, bensí anche nella psicologia del fotografo. Con l'analogico, l'aura benjaminiana non era scomparsa, ma solo declassata a feticismo. Feticismo della merce (dell'apparecchio di ripresa), ma anche del prodotto (attrezzature di sviluppo e stampa che Gilardi chiama il"fototipo").
“Una delle tragiche conseguenze psicologiche della fotografia analogica è stata la nascita del feticismo, addirittura del culto morboso del supporto: del fototipo, del negativo.”
Questo irrigidimento feticistico produce un processo di mummificazione dell'immagine, ma soprattutto - soprattutto in campo amatoriale, come abbiamo visto - produce una passività quasi inevitabile del fotografo. Le macchina analogiche di ultima generazione, unitamente agli apparati industriali di sviluppo e stampa, alienano sempre più l'intervento dell'ingenuo fotografo, creando un vero e proprio controllo degli stili e dei processi che stanno alla base della grande base della massa di immagini ad uso per lo più privato.
Con il digitale il discorso cambia. Non tanto nell'attrezzatura fotografica di ripresa, la quale al contrario accelera il processo di automatizzazione dell'istantanea, quanto nelle possibilità estremamente dilatate della post produzione. Oramai i livelli di intervento sul foto tipo originale - cioè sulla matrice digitale - non solo sono infiniti, ma per certi versi diventano 'necessari'. In questo senso, l'apporto del fotografo si ravviva e la sua soggettività se ne avvantaggia in modo determinante.
“L’immagine digitale dovrebbe essere il recupero completo alla vitalità, alla cultura delle immagini fatte con le macchine ma portate lontano senza imbalsamarle: lasciandole libere, effimere, fluide, composte di luce. Fototipi puri, ovvero segni prodotti otticamente sui quali è possibile, anzi quasi necessario, intervenire manualmente. Allora si verifica la catarsi di cui aveva capito tutto Courbet: la trasformazione del segno naturale in manufatto dell’arte.”

Larte come lavoro

Fin qui, tuttavia, abbiamo trascurato la dimensione 'politica' del problema. Sin dai suoi esordi Gilardi é sempre stato molto attento a questa dimensione, avendo lavorato per la CGIL di Di Vittorio, per il PCI degli anni Sessanta e per i movimenti studenteschi e giovanili negli anni successivi. Di tutto ciò rimane soprattutto il disincanto nei confronti della vera natura della produzione artistica e culturale. Più volte egli sostiene che "cultura è ciò che fa nascere il bisogno del consumo dei suoi prodotti…”
Con una visione apparentemente vetero marxista Gilardi descrive così il processo di produzione della merce artistica e culturale.
“La produzione dell’arte, come di tutte le merci, ha subito una mostruosa accelerazione: supera di mille volte la domanda, che non è più quella, si badi, del duca committente, del consumatore, ma del mercante, del gallerista, figura potente che decide del valore, cioè del prezzo, della merce, cioè dell’opera. […] il valore economico dell’opera non dipende più dal valore estetico, il quale a sua volta dipendeva dal tempo necessario per realizzarla, tempo abile, geniale, ma dipende da se stesso: il prezzo dipende dal prezzo.”
Uso il termine apparentemente non a caso, perché da queste considerazioni Gilardi non trae una condanna senza appello delle immagini merci. Al contrario, questa solida base critica gli serve per considerare il prodotto artistico come un prodotto 'sociale', considerazione che sarà poi il vero contenuto del suo volume "Storia sociale della Fotografia". In modo molto rigoroso egli sostiene che “l’opera d’arte nasce socialmente, concretamente, positivamente solo nel momento magico in cui viene pagata: la pentecoste dell’opera è quella del suo acquisto.” Quindi é proprio la sua forma merce che conferisce all'opera d'arte il proprio status. In questo senso, dunque, fare la storia delle immagini significa metterle in rapporto con il contesto materiale che le ha prodotte, cioè che ha dato loro un valore di scambio. Per Gilardi, dunque, “il significato dell’immagine si trova nel tempo della sua produzione, non in una forma che è sempre astratta dalla cultura, dalla vita, dalla conoscenza, che prescinde dal modo e dalla reificazione.” Questo spiega anche la sua capacità quasi onnivora di cercare e trovare i tasselli eterogenei che compongono quel puzzle incredibilmente vasto che é il nostro immaginario visivo. Le immagini del casellario giudiziale, piuttosto che le cartoline illustrate o le foto pornografiche, sono stratificazioni che si depositano a milioni, a miliardi nell'immaginario collettivo, il cui denominatore comune é rappresentato proprio dal carattere sociale della loro produzione e del loro consumo.
Un esempio ricorrente di questo procedimento gilardiano é il rapporto che intercorre tra un quadro e  la sua fotografia. Nella nostra cultura si tende a confondere ed appiattire queste due dimensioni artistiche, cioè spesso l'immagine del quadro viene vista come il quadro stesso. In realtà si tratta di due produzioni culturali differenti, entrambe dotate di un contenuto di elevato valore d'uso, ma con un diverso valore di scambio e quindi con un diverso significato sociale. Trattare l'arte "minore" come arte é in definitiva il primo passo verso una storia sociale dell'immagine. Ma é anche un passaggio di elevatissima difficoltà per i "critici" d'arte o di fotografia - categoria, sia detto per inciso, che Gilardi da sempre aborre.
“La riproducibilità tecnica non trasforma un bel nulla, è arte in se stessa! Lo dico fin dal principio, abbiamo due anelli: il quadro e la sua fotografia; sono nella stessa catena nella storia dell’arte e nei libri, sono legati culturalmente, ma non artisticamente! Non hanno lo stesso valore di scambio, per cui non hanno lo stesso significato sociale.”

La transvalutazione di tutte le credenze fotografiche

Come si diventa storici sociali dell'immagine? Qui Gilardi indica un percorso quasi nietzscheano, una specie di transvalutazione di tutti i valori. In realtà é molto difficile, secondo lui, liberarsi da alcuni stereotipi che impediscono una visione perspicua della produzione sociale di immagini. Il primo stereotipo da demolire é rappresentato dal legame, considerato purtroppo necessario, tra la cosa e la sua immagine. Quella che nella filosofia di Wittgenstein si suole definire la "picture theory" é un errore evidente per Gilardi. Lascio la parola, in questo caso, al nostro ed alla sua prosa evocativa.
"Il primo salto mentale è stato quello dal credere ciecamente che le fotografie abbiano lo stesso significato delle cose da cui vengono prese. […]
Capii fino da allora una cosa bella e terribile: che il merito, il vanto e la gloria della dea fotografia è che tutte le immagini, per mostrare una cosa, devono nasconderne un’altra. […] Nel senso che ne cambiano il senso, il significato: come se ne cambiassero il peso, asciugandola, seccandola, sbiadendola… […]
La fotografia non ha bisogno di essere garantita da qualcuno, la garanzia che quello che mostra è ‘vero’, fin dal tempo del grande Platone, è radicata nella coscienza al punto da confondersi con la propria libera volontà. Nella fotografia si crede di credere ‘liberamente’: si afferma addirittura che non possiamo rifiutarci di credere ai nostri occhi.”
Ma, in realtà, la fotografia é una grande illusione di realtà. La sua produzione é sempre sociale, lo abbiamo detto, e la sua forma é sempre mercificata. Tuttavia questo non va a detrimento della sua capacità di produrre un immaginario sociale, anzi, al contrario, é proprio questa continua subordinazione alle strategie comunicative e di mercato che ne produce il senso. Solo che il senso di un'immagine non é lo stesso della cosa rappresentata. Al contrario, più la cosa viene deformata, ingrandita, rimpicciolita, allontanata, avvicinata, decolorata, saturata, contrastata, schiarita, più essa é gloriosamente artistica e più diventa un prodotto sociale, cioè si vende.

La rivoluzione copernicana della fotografia

“La fotografia è laica, diciamo atea, perché non è storicamente motivata dal sovrannaturale.” Questa curiosa affermazione ci introduce nell'ultimo argomento che qui ricostruiremo del ben più articolato percorso di Ando Gilardi. Il senso del laicismo fotografico gilardiano va ritrovato in un gioco metaforico che rinvia al problema dell'incantamento e disincantamento del mondo, attraverso le vicende, per certi versi effettivamente esemplari, della rivoluzione copernicana. É il sole che gira intorno alla terra o viceversa? Per una visione a lungo appartenuta ai fautori dell'incantamento é la prima la soluzione, mentre per gli atei copernicani la seconda. Riformuliamo la domanda Vostro Onore (o Sua Santità se preferite...). É l'immagine che ritrae il mondo o non piuttosto l'immagine é il mondo? La soluzione, secondo Gilardi, può essere banalmente statistica. “Oggi la quantità di carta coperta da immagini è superiore a quella delle parole. Un secolo fa non superava il cinque per cento. Le conseguenze sociali, culturali, artistiche, politiche, economiche, insomma globali, di questo cambiamento dovuto alla fotografia sono enormi, io direi mostruose.” Dunque, l'apporto del Soggetto alla nostra cultura era rappresentato dal testo scritto o dalla rappresentazione pittorica - immaginate gli affreschi delle grandi cattedrali o degli edifici pubblici e la loro capacità di persuasione retorica. Fino alla nascita della civiltà dell'immagine, dunque, il compito della Pittura e del testo artistico é stata una funzione tolemaica, cioè voleva confortare l'uomo nella sua prospettiva autoreferenziale ed antropocentrica. Ma la rivoluzione della civiltà dell'immagine (digitale in special modo) ci sollecita a pensare che le immagini si prendono da sole.
“Il compito storico e insieme sociale e politico della Pittura, è stato per secoli quello di far credere all’Uomo di essere stato messo sul serio al centro dell’Universo: davvero non c’è nulla di più tolemaico della Pittura. E non c’è nulla di più copernicano della fotografia.”
La missione di uno storico sociale delle immagini come Gilardi é stata per tutta la sua vita la diffusione della consapevolezza di questa rivoluzione copernicana. Da ora in avanti dovremo andare avanti da soli.

 

Bibliografia

Il Risorgimento italiano nella documentazione fotografica, Ferrania, Milano 1960.
Il colore nella fotografia, collana “I documentari”, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1972.
La Fotografia Creativa. Guida a fabbricare immagini diverse, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1977.
Storia Sociale della Fotografia, Feltrinelli Editore, Milano 1976, ristampa 1981; Seconda edizione, Bruno Mondadori, Milano 2000.
Wanted! Storia, Tecnica ed Estetica nella Fotografia Criminale Segnaletica e Giudiziaria, Mazzotta, Milano 1978 Nuova edizione aggiornata, Bruno Mondadori, Milano 2003.
Fotografia macchina per insegnare, Ilford, Saronno (VA) 1979.
Muybridge, il magnifico voyeur, Mazzotta, Milano 1980.
Dalle origini alla fotoincisione: storia di un’immagine molto salata, Ilford, Saronno (VA) 1981.
La fotografia senza obiettivo, Ilford, Saronno (VA) 1981.
Storia della fotografia pornografica, Bruno Mondadori, Milano 2002.
Meglio ladro che fotografo. Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo, Bruno Mondadori, Milano 2007.
Lo specchio della memoria. Fotografia Spontanea dalla Shoah a You Tube, Bruno Mondadori, Milano 2008.
L’innocente. Poesie per una terrorista, Fototeca Storica Nazionale Edizioni – Lulu, Milano – London 2009.

Elettronici
• Ipotesi di corso sulla fotografia, Digital, Milano 1983
• Progetto Giotto, Bassilichi, Firenze 1984
• A CD-ROM Unabashed History of Photographic erotica
• The Museum of the Museums of Renaissance art

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• www.fototeca-gilardi.com
• http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/ (blog FOTOCRAZIA)

 

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