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n. 0 / Gennaio 2012

Kantorowicz e la storia

Adelaide D'Auria

Scuola di dottorato in scienze umane
Università degli Studi di Bari Aldo Moro

 

Ernst Hartwig Kantorowicz nasce a Posen (oggi Pozna?, Polonia) da una famiglia benestante di industriali ebrei il 3 maggio 1895. Nella sua città intraprende studi classici ottenendo l'Abitur e acquisisce una buona padronanza del latino, del greco, oltre che del francese e un solido bagaglio umanistico. Nonostante la sua ascendenza, Kantorowicz fu sostanzialmente estraneo alla cultura ebraica tradizionale: non parlava l'yddish come prima lingua, ma il tedesco e l'inglese, e non ricevette un'educazione religiosa ortodossa, né fu incoraggiato dalla sua famiglia ad avvicinarvisi. D'altra parte la stessa famiglia Kantorowicz aveva scelto la strada dell'assimilazione alla cultura tedesca. Dapprima destinato a proseguire l'attività di famiglia, Ernst si trova ad intraprendere una strada diversa a causa dell'arruolamento nell'esercito per il Primo Conflitto Mondiale nel 1914. Al suo ritorno, dopo un ferimento e successivamente alla smobilitazione dell'esercito, non smette la divisa, decidendo di entrare a far parte a Monaco (dove segue corsi di economia, tra cui alcuni tenuti da Max Weber) dei Frei Korps, i corpi franchi tedeschi, squadre di estrema destra, con l'obiettivo di combattere la rivoluzione spartachista a Berlino, poi finita nel sangue, e la Repubblica dei Consigli in Baviera nel 1919. Il Trattato di Versailles infine, assegnando definitivamente la Posnania alla Polonia, lo rende orfano della sua patria e lo induce ad allontanarsi da ogni altra forma di impegno politico. Fermamente convinto della bontà degli ideali conservatori e sostanzialmente avverso al nuovo corso politico tedesco, che da poco aveva visto nascere la Repubblica di Weimar come primo esperimento democratico nel Paese, si trasferisce ad Heidelberg, cittadina universitaria dove riprende i suoi studi universitari. La permanenza ad Heidelberg rappresenta una svolta nella vita del giovane studente perché è lì che entra in contatto con il poeta simbolista Stefan George. Questo incontro rileva per due ragioni: in primo luogo frequentando il cenacolo georgiano, formato da giovani intellettuali di varia origine, riceve i primi rudimenti dello studio delle immagini, in secondo luogo è in seno al circolo che inizia e porta a termine il suo primo grande lavoro, la biografia di Federico II di Svevia, pubblicata nel 1927 (Ed. It. Garzanti, 2009). L'improvviso quanto controverso successo del volume gli fa guadagnare una cattedra all'Università di Francoforte dove rimarrà fino al 1933, anno in cui, a seguito del suo rifiuto di prestare giuramento al nuovo capo del Reich Adolf Hitler, inizierà il distacco irreversibile dall'istituzione universitaria tedesca e dalla Germania in generale, trasferendosi dapprima in Gran Bretagna per un breve periodo, dove peraltro ebbe modo di entrare in contatto con i warbourghiani, e poi negli Stati Uniti. La partenza nel 1939 lo allontana definitivamente dall'Europa: Kantorowicz riprende la sua carriera di accademico prima a Berkeley, California, fino al 1950, anno in cui rifiuta il secondo giuramento, questa volta preteso dalle autorità americane in pieno periodo maccartista, e poi a Princeton, all'Institute for Advanced Studies, dove morirà nel Settembre 1963.

Sono note le polemiche che hanno investito l'autore in patria e fuori, circa la sua presunta vicinanza ideologica, almeno nella prima fase della sua vita alle posizioni naziste. Non è questo il luogo per approfondire questo aspetto, ancora fino a pochi anni fa riproposto e discusso da una parte dell'accademia europea e non. Basti dire che gli ultimi contributi relativi alla figura dello storico, in particolare la sua biografia redatta da Alain Boureau, peraltro autore della prefazione all'edizione italiana de I due Corpi del Re (Einaudi, Torino, 1989), hanno tentato di restituire al lettore un'immagine dello studioso tedesco quanto più possibile ripulita da veli ideologici e da valutazioni non sempre completamente serene. Analizzando il contesto culturale e politico nel quale Kantorowicz si trovò a vivere, Boureau cerca di illuminare gli aspetti controversi della vita dello storico, soprattutto in relazione ai suoi anni tedeschi.

La riscoperta recente, in particolare negli ultimi due decenni, delle opere di Kantorowicz non è casuale: affatto anacronistico infatti sembra tornare a riflettere sull'opera di uno storico che ha indagato con lo strumento dell'erudizione, unito a una capacità di intuizione rara, gli aspetti arcani e simbolici del potere, che a dispetto di tutto sono sopravvissuti fino ad oggi, nonostante l'affermazione del paradigma razionale come cifra della politica. La volontà di Kantorowicz di andare oltre l' immediatamente visibile, si ravvisa non solo prendendo in esame le opere in cui l'oggetto di studio sono i simboli fisici del potere e le immagini ad esso correlate, ma anche nelle opere più prettamente storiche, dove l'autore dà un saggio della sua capacità di andare a fondo delle questioni non limitandosi ad una fredda analisi documentale. è, del resto, questa l'impostazione data al Federico II, che proprio in ragione della sua eterodossia metodologica, aveva subito aspre critiche da parte del mondo accademico tedesco, votato perlopiù ad abbracciare una visione della storia basata sulla ricostruzione fattuale suffragata dalle sole prove documentali. Kantorowicz riteneva tale impostazione sia limitante in funzione della ricostruzione storica degli eventi, che per loro natura sono mutevoli per le continue scoperte di nuove fonti, sia per la comprensione complessiva di qualsiasi avvenimento del passato. L'uso che Kantorowicz fa nelle sue opere e di fonti documentali, padroneggiate peraltro con grande dimestichezza, e di quelle solitamente considerate minori, quali le cronache del tempo, le leggende, i miti, le immagini, sono funzionali ad uno scopo preciso, ovvero dare conto di un modo di interpretare e vivere il mondo del tempo, considerandolo in tutte le sue componenti. Dal Federico II, a Laudes Regiae (ed. it. Medusa, 2006), a I due Corpi del Re, la prospettiva sovratemporale utilizzata dall'autore si sostanzia nella volontà di comprendere e decifrare il senso che gli uomini del passato attribuivano alle cose, e come queste agissero sulla realtà. Così la descrizione di Federico II, delle leggende fiorite attorno alla sua persona, dei simboli ad essa legati, non sono meri esercizi di stile o la messa in mostra di conoscenza del folclore dell'epoca, bensì sono considerati dallo storico, proprio in virtù del loro carattere immaginativo, gli strumenti fondamentali nel processo di comprensione del modo in cui si sia potuto instaurare un rapporto di carattere autoritativo tra lui e i suoi sudditi. La comprensione piena dell'orizzonte culturale comune ai protagonisti dell'epoca è per Kantorowicz di primaria importanza. Va da sé che gli studi successivi al Federico II, seppure abbiano subito una virata, almeno stilistica perché caratterizzate da una scrittura meno evocativa rispetto alla sua prima fatica, e destinate ad un pubblico di addetti ai lavori, abbiano comunque continuato sulla scia del metodo proprio della biografia dello Staufen. Fedele alla sua visione della storia prima a tratti delineata, Kantorowicz prosegue nella ricerca e nello studio dei simboli, dei miti, delle leggende e delle immagini, che hanno puntellato la storia del potere regale in Occidente, scovandone le costanti e sottolineandone le variazioni.

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